Anno zero

Anno zero
di Marcello Veneziani
(pubblicato su www.ariannaeditrice.it il 2 gennaio 2018)

Lettura: spessore-weight****, impegno-effort**, disimpegno-entertainment**

Ieri il nostro Millennio è diventato maggiorenne. Ha compiuto 18 anni e può dunque votare, patentarsi, è l’anno zero della vita adulta. Degli anni precedenti eredita il disagio.

Se al giro di boa dell’anno volessimo dire in sintesi qual è la chiave del malessere del nostro presente, come potremmo delinearlo? È la quadratura di un circolo vizioso composto da oppressione fiscale, tirannia del market, perdita del confine, intolleranza permissiva.

Proviamo a spiegarci partendo dal più semplice.

Lo Stato come principio d’unità al di sopra delle parti e come spirito pubblico non c’è più da un pezzo. E lo Stato sociale, come sostegno e garanzia per i popoli e i cittadini, fu aggredito, prosciugato e svilito negli anni, prima attraverso le sue caricature obese di tipo assistenziale – che dettero luogo allo statalismo e al parassitismo pubblico – poi attraverso lo smantellamento, lo spostamento dell’asse dal pubblico al privato, l’onda liberista, il precariato universale e il mercatismo.

Dello Stato però è cresciuto il peso oppressivo del fisco, sia attraverso una tassazione record che cresce mentre decrescono i servizi pubblici o si carica di oneri estranei ai contribuenti (in primis i migranti); sia attraverso leggi punitive, sistemi di controllo, estorsioni e vessazioni di enti locali o erogatori di servizi. Perfino le multe stradali sono concepite con l’alibi della sicurezza stradale ma servono per nutrire le affamate casse comunali.

Ne deriva una nuova forma oppressiva di stato, anzi uno statalismo inverso, che riduce servizi ma esige tributi, per l’Europa, per risanare il deficit, per l’età media che avanza, per i clandestini da mantenere.

È una forma inedita di “comunismo”, su base fiscale. Ma un comunismo che si sposa con le scorrerie del capitalismo internazionale, le franchigie di cui godono le grandi multinazionali, gli assetti sociali ed economici dettati dai poteri finanziari e dalle loro agenzie.

È questa la tirannia del market, la riduzione dell’universo a Ipermercato o periferia del medesimo, il controllo delle masse tramite i megasocial e la megamacchina sociale. La nuova forma invasiva del capitalismo non esige più “schiavi” in fabbrica, operai e lavoratori, ma esercita il suo dominio fuori dal lavoro, nel tempo libero, nelle comunicazioni, nei consumi, veicola e determina gusti e disgusti, colonizza desideri, modi di vita e modelli di riferimento.

Tutto questo si fonda su un elemento etico, antropologico, culturale che ci sta cambiando la vita e che viene ossessivamente ripetuto e rivendicato come mission da tutti da tutti coloro che hanno ruoli rilevanti per notorietà e potere: basta muri, basta limiti sanciti dalla natura, dalla storia, da frontiere territoriali e statali, ma anche da leggi, costumi, tradizioni.

Sconfinare, perdere la misura, varcare e relativizzare i limiti, affrancare i diritti dai doveri e i desideri dai sacrifici. Oppressione fiscale ma liberazione sessuale e territoriale.

Tutti liberi e vaganti, senza confini. Ognuno sceglie di vivere dove vuole. Nessun contesto comunitario, solo individualismo sfrenato, autogestione della vita fino a cancellare la natura, le origini, la provenienza. Quel che conta è solo l’io che vuole realizzarsi.

La società dello sconfinamento corona il sogno sessantottesco della liberazione; via la repressione, vai con la tolleranza universale. Vietato vietare, tutto è permesso.

Ma, attenzione. Chi non riconosce questo universo liberato, chi non si riconosce nei nuovi “valori”, chi non pratica il codice ideologico prefissato e non si sottomette all’osservanza dei suoi articoli di legge, diventa un pubblico nemico e merita la gogna, la pubblica esecrazione, l’emarginazione, la condanna, anche penale, se è il caso.

Qui scatta con l’accusa di fobie il nuovo codice repressivo, linguistico e comportamentale: il Politicamente Corretto. Nato per tutelare le minoranze più deboli, diventa nei fatti un comandamento punitivo da osservare, un nuovo codice civile, penale e ideologico coi suoi dogmi e le sue proibizioni.

È l’intolleranza dei permissivi, il totalitarismo dei libertari, la dittatura del progresso, il sistema dei veti e dei divieti, anche linguistici, la Nuova Ipocrisia.

A ben vedere si tratta di coppie antitetiche: il capitalismo accresce la sua potenza con la tecnica e la dipendenza dai consumi e dai social, ma al tempo stesso l’oppressione statale si accanisce sul piano fiscale, come esige una società guidata dalla finanza e dall’economia.

Così come la liberazione dai limiti e dalla natura, dal tuo corpo e dal tuo sesso, dalla comunità e dalla tradizione, lo sconfinamento e la facoltà di seguire i propri desideri, si irrigidisce poi nell’intolleranza e nella tirannia del P.C..

Tutto questo genera sfiducia verso ciò che è pubblico e statale, chiusura in sé stessi e nel proprio egoismo, regressione nelle tribù o nella rabbia diffusa, tra haters e fake news, dissenso, defezione, disagio. Abbiamo raggiunto il punto zero in cui la società fondata sul benessere distribuisce in realtà malessere.

Ecco da dove potrebbe scaturire oggi una rifondazione politica e culturale. Se esistessero i mezzi per comunicarla, i luoghi per coagularla e per raccoglierla e gli uomini disposti a mettere a repentaglio il proprio standard di vita per dare un senso, una dignità e una prospettiva alla vita. Un tempo, quest’Inizio si chiamava rivoluzione.

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Anno zero ultima modifica: 2018-02-09T04:12:01+01:00 da GognaBlog

12 pensieri su “Anno zero”

  1. 12
    lorenzo merlo says:

    Come travisare? Una risposta c’è, oltre alle altre che non immagino.

    Quando – come in questo caso, leggendo un articolo – un suo qualunque aspetto, un suo qualunque passaggio, ci scatena un’emozione, una reazione, facilmente il nostro gradiente di onestà intellettuale si riduce o si azzera.

    A quel punto, lancia in resta, ci si scaglia contro l’autore, contro il contenuto, contro il significato (che gli abbiamo attribuito), tutti assurti a simbolo di qualche nostra paura, zona d’ombra, possibilità evolutiva.

    Diversamente, adattandosi consapevolmente, ovvero senza appiattirsi a ciò che stiamo leggendo, nel tentativo – già di per sé evolutivo – di cogliere il significato, il senso , l’origine, ovvero le ragioni di quanto stiamo leggendo e la verità che contiene, di cosa ci sta dicendo l’autore, alziamo il rischio di cogliere aspetti per noi nuovi, riflessi che ci erano sfuggiti, ricchezze umane. Inestimabili, in quanto foriere di ampiezze insospettate di equilibrio intimo, relazionale, sociale. Foriere di bellezza.

    E ciò resta vero indipendentemente dal condividere quanto stiamo leggendo. Potremmo farlo per ragioni strategiche verso il prossimo tipo quelle del vecchio Sun Tzu. “Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittorie è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.”

    O verso se stessi. Lao Tzu: “Quando mi libero di quello che sono, divento quello che potrei essere.”

    Come diceva non so più chi, chi vuole imparare ha da guardare tutti non solo i più bravi.

  2. 11
    Matteo says:

    In effetti direi che ci sono un paio di troll qui in giro, Luca.

    Ma sono abbastanza pittoreschi e in fondo innocui

  3. 10
    Luca Visentini says:

    Troppo buffo! Secondo me, Alberto, sei un personaggio inventato.

  4. 9
    Alberto says:

    Cosa c’è di male nel non interessarsi al bene comune? Non c’è nulla di più importante del bene MIO e dei MIEI CARI. Il resto passa in seconda linea. Io guardo solo al mio interesse e non me ne vergogno assolutamente. So chi votare e depreco le boldrine, i grasso che predicano bene e razzolano male, radicalchic  che per per fortuna non contano e non valgono niente.

  5. 8
    Christian says:

    Comunque Bakunin vi aveva illuminato la strada più di 150 anni fa……mi sa che qualcuno non l’ha vista….

  6. 7
    Alberto Benassi says:

    “Domandate a un qualsiasi italiano la sua opinione su questi temi. Nella maggioranza dei casi avrete risposte simili e proposte di soluzione simili, a prescindere dal colore rosso, nero, bianco o verde del suo partito.”

    io non sarei così sicuro. Ufficialmente le risposte degli italiani possono essere di buon senso. Ma secondo me poco sincere.  Sotto sotto, per me, ognuno pensa parecchio ai fatti propri. Mancando di visione comune, di senso del bene comune.

  7. 6
    Fabio Bertoncelli says:

    Fino a che discetteremo facendoci inquadrare nei limiti delle rispettive ideologie, non troveremo mai il benché minimo accordo su nulla e litigheremo sempre. Proviamo invece a discutere dei problemi concreti, prescindendo dal credo di partito.

    Gli italiani, oltre a tutti i loro difetti, hanno buon senso. Su temi specifici e concreti possono trovarsi d’accordo in maggioranza. Quali sono questi temi? Per esempio: la malagiustizia, la malasanità, il disfacimento della scuola, la delinquenza comune, l’immigrazione clandestina,  la corruzione, la tassazione pazzesca e l’evasione fiscale, i privilegi della casta politica, la società «multietnica e multirazziale», ecc.

    Domandate a un qualsiasi italiano la sua opinione su questi temi. Nella maggioranza dei casi avrete risposte simili e proposte di soluzione simili, a prescindere dal colore rosso, nero, bianco o verde del suo partito.

    È infantile ‒ oltre che un insulto all’intelligenza ‒ dare ragione o torto a una persona soltanto perché «è di destra» oppure «è di sinistra».

    Proviamo invece a domandarci: «Costui ha detto cretinate?» oppure «Ha detto cose sagge?», senza lasciarci influenzare minimamente dalla tessera di partito o dall’ideologia politica.

  8. 5
    Alberto Benassi says:

    Infatti!

     

    forse perchè quelli di sinistra, sono a fare i radical scic con brunello di montalcino, sciarpa di kashmir e sigarigli. Con tutti i vitalizi che hanno da spendere, mica hanno problemi.

    Alla faccia del proletariato. Chissenefrega.

    Meglio difendere una certa finanza.

  9. 4
    Luca Visentini says:

    Guarda caso lo ha scritto uno di destra.

  10. 3
    paolo panzeri says:

    Secondo me ora l’esperimento democratico è quello che io chiamo “l’ignoranza consumistica”. La gente è quasi contenta, quasi può pensare di scegliere, quasi può pensare di poter fare quello che vuole. L’offerta di divertimenti è enorme e quindi chiunque può “divergere” sempre, ma solo fra ciò che gli viene offerto, nessuno o quasi può creare qualcosa di nuovo. Si può dire che la massa sia sotto ampio controllo e non faccia danni come sempre qualcuno era riuscito a farle fare. L’ignoranza sembra sia il migliore antidoto a qualsiasi forma di rivoluzione, anche leggera….. la terra è piatta e la candeggina serve per curare l’autismo e l’inquinamento si combatte con l’elettricità…….. dopo il medioevo è venuto il rinascimento, un periodo di cultura estetica innovativa, noi stiamo vivendo l’epoca delle “macchine”, poi non so immaginare cosa succederà, bisogna proporre qualcosa di nuovo veramente bello e non di consumo generale.

  11. 2
    Alberto Benassi says:

    ” Un tempo, quest’Inizio si chiamava rivoluzione.”

    Ma chi è disposto, oggi, a fare la rivoluzione?

    Per fare la rivoluzione bisogna avere degli ideali in cui credere. Chi manifesta, chi protesta,  oggi…?

    A me sembra nessuno.

    Ognuno di noi e chiuso egoisticamente nel suo mondo e se ne frega assai degli altri. Siamo soli, isolati.Vediamo solamente i nostri di problemi e, forse poco anche quelli… Come si fa, in questa condizione,  a fare la rivoluzione?

    Per fare la rivoluzione bisogna essere aperti agli altri. Essere disposti  a perdere le certezze (poche) e le agiatezze che abbiamo.

    Chi è disposto,  oggi,   a dare se stesso per il bene comune?

  12. 1
    lorenzo merlo says:

    Destra e sinistra hanno sperperato e perduto la loro storica identità.

    Sempre più liberi e lontani dalle rispettive ideologie molti loro uomini e donne hanno abbandonato la nave.

    Si sono ritrovati sulle stesse scialuppe e stanno decidendo insieme quale direzione prendere.

    Dopo aver osservato che la motonave li stava portando sempre più lontano da terra, gli è bastato invertire la rotta di 180°.

    Guardavano l’orizzonte. Vedevano la mononave allontanarsi sempre più. Capivano che era una metafora.

    Vogando insieme in direzione opposta, discutevano e avevano chiaro che una società ridotta a Pil, dove tutto è misurato in denaro, non l’avrebbe condotta in nessun porto umano.

    Felici d’aver preso coscienza d’essersi liberati dalla perdizione, sentivano di aver ritrovato sé stessi e il coraggio di esserelo.

    Hanno così capito che non si tratta per chi votare il prossimo 4 marzo, ma per cosa.

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