Aziende e sicurezza

Aziende e sicurezza

Dal 20 al 22 febbraio 2015 si è svolto a Rjukan, Norvegia, l’annuale meeting Rjukan Icefestival, un’iniziativa che ormai ha superato la ventina di edizioni.

La manifestazione è stata funestata nell’ultima giornata dalla tragica caduta mortale della guida alpina valtellinese Pietro Biasini, evento che tanto dolore e sgomento ha provocato in chiunque lo conosceva.

Pietro Biasini
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Rjukan è un centro di circa 6000 abitanti nel sud della Norvegia, con rilievi che arrivano a 1883 m. Nel 1978 gli scalatori norvegesi Marius Morstad e Bjørn Myrer Lund vi scalarono la prima cascata di ghiaccio, Rjukanfossen. Da lì partì l’interesse per questa località, che è diventata oggi uno dei centri più popolari per gli appassionati di tutto il mondo, con oltre 190 cascate scalabili. E’ del 1993 la prima edizione del festival che, partito in sordina e limitato ai locali, oggi è internazionale.

Negli anni ci sono state le partecipazioni di scalatori ben noti, come Franz Fisher, Carlos Wagner, Tomaz Humar, Will Gadd, Harry Berger, Ines Papert, Kristen Reagan, Robert Caspersen, Trym Sæland, Gøran Kropp, Nick Bullock e molti altri. Tutti hanno contribuito a portare nuove tecniche sempre più aggiornate, con il loro esempio pratico e le belle conferenze serali.

Il 17 febbraio 2009 due partecipanti al festival caddero dalla sosta della 4a lunghezza di Bølgen. Uno di essi non sopravvisse. Nel 2014 si era sfiorata la tragedia con un incidente che avrebbe potuto avere gravi conseguenze. Nel 2015 è ri-successo, questa volta alla guida alpina italiana. Ragazzi di tutto il mondo erano lì tutti assieme per chiacchierare, scambiarsi esperienze, provare nuovi materiali e assistere alle serate. La facilità con la quale lì s’incontrano persone piacevoli è la forza di questo meeting. Non ci voleva proprio.

La presenza degli sponsor è abbastanza ingombrante, specie nell’area Krokan, facilmente accessibile. Altoparlanti, pubblicità, musica ad alto volume. Le ultime novità in fatto di materiali destano grande interesse, con marche come Black Diamond, Petzl e Grivel. L’idea è quella di far provare ciò che si vuole, le ultime piccozze, le viti da ghiaccio di ultima generazione, i ramponi.

E’ evidente che su una cascata di ghiaccio l’equipaggiamento è di assoluta importanza. Con gli ultimi attrezzi anche scalatori mediocri possono raggiungere risultati notevoli. Il progresso tecnico in questo campo ha fatto miracoli, fin dai tempi delle prime punte frontali dei ramponi (Grivel, 1929).

Tutto questo merita attenzione, perché enfatizzare troppo il progresso spesso porta a una diminuzione della vera sicurezza. Le grandi aziende condizionano i consumatori sussurrandogli abilmente i vantaggi del rinnovare spesso la dotazione individuale comprando a caro prezzo le ultime novità. Ma quando questa morbosa attenzione al materiale, in uno sport potenzialmente pericoloso, sostituisce i dettami fondamentali per una pratica “sicura”, beh allora occorre riformulare nuovi indirizzi.

Possiamo parlare di “effetto superman”, proprio come succede a Clark Kent quando si mette in costume e magicamente acquista i super-poteri. Succede che essere dotati di equipaggiamento che ci fa sentire bravi porta a sentirci invincibili, anche se la realtà è ben differente.

Aggiungete il mitragliamento di immagini delle riviste, di dvd e di clip da you-tube dove si vedono i migliori fare cose mai viste con quell’equipaggiamento. E’ quasi consequenziale che, almeno a un certo livello, lo scalatore medio e il principiante si sentano autorizzati ad aspirare a vie non proprio alla loro portata.

Rjukan Icefestival 2014, settore Krokan
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Potrebbe sembrare stupido, la maggior parte sa quanto allenamento e fatica i più bravi abbiano dovuto fare per essere tali. Ma per taluni non è così, e l’equazione miglior materiale = miglior scalatore è per costoro quasi assiomatica. Dopo tutto viviamo in un mondo mediatico, dove però il messaggio costante “compra questo per avere questi vantaggi” si sta rivelando il miglior passaporto alla tragedia.

Non vedo avvisi da parte dei costruttori e venditori riguardo a questo pericolo, non necessariamente riservato ai principianti. Mi riferisco a quello che gli americani chiamano “health warning”. Oggi non ci sono più pacchetti di sigarette senza questo tipo di avvertimenti, che richiamano a una responsabilità. Ma non voglio dire che siano necessari messaggi tipo quello che vedete qui sotto nel foto-montaggio.

Attenzione: scalare può essere pericoloso. Pensa se hai le capacità per farlo in sicurezza
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Di certo però sarebbe bene che le aziende aiutassero a promuovere quegli aspetti di quest’attività (o di altre similari) che riguardano le capacità tecniche e tattiche assolutamente necessarie. Sarebbe una loro responsabilità morale.

Non vorrei neppure che venissero intensificate, in manifestazioni come quella di Rjukan, le misure per una sicurezza imposta e sorvegliata. Non è così che si educa. Finito il festival tutto sarebbe come prima.

Nessuno sostiene che le aziende siano responsabili per gli incidenti. Tutti i praticanti sanno che l’attività è a proprio rischio. Ma certamente il linguaggio promozionale e pubblicitario dovrebbe insistere di più sui pericoli e meno sulle qualità del nuovo prodotto: questo sarebbe un comportamento responsabile di chi, alla fine dei conti, comunque spinge a praticare un’attività potenzialmente pericolosa.

Certo non è attrattivo pubblicare statistiche di incidenti o cose del genere. Però parlare delle tecniche necessarie sarebbe giusto e anche gradito dagli utenti. Sarebbe così difficile o costoso per le aziende dire “allora, andate con questi viti da ghiaccio, ma se non siete sicuri di ciò che fate andate là a scalare X con qualcuno che ti mettiamo a disposizione per farti imparare e migliorare”. Sarebbe bello che le aziende devolvessero una parte degli utili per accrescere le capacità e l’esperienza del principiante. Organizzando workshop gratuiti. E ciò lo si potrebbe promuovere anche e soprattutto nell’ambito dei festival.

Di certo aiuterebbe a sviluppare confidenza in quelli che non soffrono di “sindrome da superman” bensì di sindrome “mancanza di confidenza”. I consigli gratuiti e l’assistenza alla lunga ripagherebbero le aziende dell’iniziale e necessario investimento economico.

Sarebbero queste le novità obbligatorie a un festival per essere davvero brillante e responsabile. Non avrebbero evitato la morte di Pietro Biasini, che non aveva certo bisogno di alcun consiglio dalle aziende, ma avrebbero nobilitato l’intera manifestazione. Per essere davvero coerenti con ciò che loro stessi hanno scritto nella loro presentazione: “la ragione principale per questo evento no-profit è sempre stata quella di radunarsi, socializzare e imparare sempre di più al riguardo di una scalata su cascata più difficile e più sicura http://www.rjukanicefestival.com/ “.

 

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Aziende e sicurezza ultima modifica: 2015-04-26T06:20:35+02:00 da GognaBlog

21 pensieri su “Aziende e sicurezza”

  1. 21
    GIANDO says:

    Le riflessioni da fare sono numerose e partirei proprio dalle parole dell’ultimo commento di Alberto “la competenza e l’onestà deve essere reciproca”.
    Al giorno d’oggi manca spesso sia l’una che l’altra. Non so se in passato le cose andassero meglio (forse sì forse no) ma molti anziani imprenditori, artigiani e commercianti (ed io ne conosco parecchi), mi raccontano che una volta la stretta di mano aveva un valore. Oggi non ha più valore nemmeno ciò che si sottoscrive, perché in qualunque momento vengono accampate delle scuse per tirare l’acqua al proprio mulino.
    Ho letto alcuni commenti nei quali vengono fatti dei paragoni. Anche in questo caso bisogna stare attenti. Lungi da me il ritenere ininfluente l’operato dello spacciatore di sogni, cioè del produttore coadiuvato dal rivenditore, però bisogna valutare caso per caso, attività per attività.
    Se io vado a comprare un’autoveicolo è molto probabile che ne abbia bisogno per vivere (spostarmi per motivi di lavoro, caricare merci, trasportare persone, ecc.). Sicuramente il veicolo viene da me utilizzato anche per diletto ma diventa molto difficile, oggi come oggi, fare a meno di un mezzo di locomozione a motore. Conseguentemente mi trovo in una posizione di inferiorità rispetto a chi mi vende il bene, il quale può lucrare sulla mia pelle con maggiore facilità. Ergo, la sua responsabilità ha un certo peso.
    L’alpinismo, l’arrampicata, lo scialpinismo, sono attività fondamentalmente ludiche, pur con tutte le varianti del caso in quanto alcuni le vivono in maniera quasi mistica mentre altri credono di essere al luna park. Ma in nessun caso, salvo situazioni estreme, possono essere considerate attività vitali. La stragrande maggioranza delle persone, a torto o a ragione, ne fa a meno. Di conseguenza chi s’imbarca in tali attività dovrebbe avere un backgroun culturale di un certo tipo. L’ignoranza è in questo caso meno scusabile.
    Ovvio che se poi mi viene venduto del materiale difettoso il discorso cambia (mi vengono, per es., in mente tutti i set da ferrata ritirati qualche anno fa).
    Secondo il mio punto di vista, tralasciando le solite questioni di carattere economico di sicuro impatto sul nostro modo di vivere, una grande responsabilità ce l’hanno i giudici.
    Una delle prime cose che mi hanno insegnato in diritto è che le norme vanno interpretate. Le variabili sono infinite. Perfino passare col rosso è in certi casi scusabile perché se devo salvare una persona può darsi mi tocchi contravvenire ad una norma di così facile comprensione.
    Invece negli ultimi anni stiamo assistendo a delle sentenze di cui facciamo fatica a comprendere il significato e di ciò ne abbiamo già parlato. Tutti noi abbiamo un concetto di responsabilità, magari primitivo ma comunque comprensibile e condivisibile, che equivale a dire “se ti sei cacciato nei guai, se non hai valutato attentamente, se non ti sei preparato, se non hai cioè fatto tutto quello che dovevi fare ne paghi le conseguenze”. Oggi invece sembra che la responsabilità sia sempre di qualcun altro. Se in piscina c’è un cartello con scritto che non bisogna tuffarsi, un ragazzino o magari un adulto si tuffa e si male chi ci va di mezzo è il bagnino perché non ha vigilato.
    In compenso vengono attribuite responsabilità a man bassa anche in presenza di eventi di difficile previsione. Cade una valanga? E’ sempre responsabilità di qualcuno.
    C’è sicuramente un problema di fondo. Se si è venuto a creare questo scollamento fra il comune sentire ed il pensiero del magistrato giudicante significa che qualcosa non sta’ andando per il verso giusto perché o siamo tutti una massa di cretini oppure il diritto si sta’ evolvendo in una realtà parallela.
    Su questo argomento mi piacerebbe andare più a fondo perché qualcosa che non torna secondo me c’è.

  2. 20
    Alberto Benassi says:

    “Perché è chi compra che deve essere responsabile, non chi vende” avrò anche capito nulla. Che ci vuoi fare son duro di comprendonio, ma a me questa frase da noia.

    Siamo d’ accordo che che ci vuole conoscenza ma non puoi rovesciare addosso a tutti di tutto e di più tanto il problema è loro. Se ti rendi conto di avere davanti una persona ignorante in materia (e non è difficile) non è che sei giustificato ad approfittartene. Magari gli dai un consiglio, poi chiaramente l’ultima parola è la sua.
    La competenza e l’onestà deve essere reciproca.

    Quindi se te sei uno “spacciatore di sogni” e ti rendi conto che spacci cose che per alcuni possono essere pericolose, cerca ogni tanto anche di spacciare la “vera realtà” anche se poi magari ti farà guadagnare di meno.

  3. 19

    Ricky, detta in questo modo suona già diversa dal tuo primo intervento, anzi oserei dire, completamente diversa… eccetto per quel concetto di “ognuno è libero di ammazzarsi se gli va” che ho condiviso già in prima battuta…
    Perché Pietro è nell’articolo, perché questo non sia offensivo, anzi, a mio avviso ne elevi la figura, l’hai capito e se c’è chi l’ha interpretata a suo modo, leggendo chissà che cosa, che non era scritto e nemmeno ipotizzato, magari, sarebbe da tirare in ballo l’istruzione pubblica che ha delle lacune enormi nella formazione, quantomeno nell’insegnamento della grammatica e della comprenisone del testo…
    Il mondo è bello perché vario, e, perché non si finsce mai d’imparare, frasi “storiche” ma sempre efficaci…
    Imparare però da chi e che cosa? Per imparare c’è bisogno in contropartita che vi sia una fonte d’insegnamento e se questa è oggi rappresentata dalla comunicazione mediatica, in grandissima parte, sarebbe auspicabile che vi fossero dei vincoli etici.
    L’autodeterminazione che tu illustri è presente anche nel manifesto dell’anarchia, ma quanti sono in grado di assorbirne i crismi e quanti invece svicolano per paura che questo possa appesantire la loro vita estranianbdoli dalla massa?
    Essere al di fuori della mischia fa paura ai più, mentre il branco (inteso in questo caso come maggioranza) da il potere della massa, e chi ne controlla i comportamenti (perché come detto la comunicazione di massa può stravolgere le cose) lo sa molto bene…: creare i leader del momento, da “bruciare” quando diventano scomodi o troppo sfruttati, è uno sport molto in voga…
    E’ verissimo che altri Paesi e quindi altre culture, hanno abitudini diverse e si preoccupano in maniera molto più superficiale di questo tipo di situazioni, ma come esprimi giustamente la matrice culturale non è la nostra.
    Che non sia con i bilgliettini apposti per buona pace dell’idiota di turno che si cambiano le cose, è scontato direi, quindi per sostituire una propaganda stupida ed inutile una presa di coscienza etica è l’unico modo per controbattere l’ignoranza che oggi può essere fonte di reddito per qualcuno, ma domani…?
    Il tutto e subito colpisce chiunque, anche le aziende, che attualmente non prevedono nelle loro prospettive, periodi medi o lunghi ed il risultato lo viviamo tutti ogni giorno, specie nel mercato del lavoro (altro argomento indubbiamente ma che caratterizza la situazione attuale) e di riflesso in ogni attività umana.
    Una bella foto stimola la fantasia ed il sogno ed è un fattore positivo quando viene presentata come un’opera d’arte o simile, ma quando si spaccia queste fantasie per possibili realtà collettive e facilmente realizzabili con messaggi più o meno subliminali, si solletica l’ingenuità della quale tutti più o meno, in un modo o nell’altro soffriamo…

  4. 18
    rikyfelderer says:

    @alberto: si, è esattamente così. Hai letto tutto il mio (pallosissimo) intervento, compreso il finale?

  5. 17
    Alberto Benassi says:

    siccome la responsabilità e solo dell’imbecille che compra. Allora fanno bene a produrre e a venderci merda.

    Evviva il liberismo sfrenato.

  6. 16
    rikyfelderer says:

    alessandro e stefano, se intervengo qui è perché ritengo che ci possa essere una discussione all’altezza e non da bar, per cui vi approfondisco le mie idee e il perché ho deciso di scrivere una risposta qui e non puntare dita su fb…
    Per quanto riguarda Pietro, la faccio veloce: io personalmente credo di aver capito il perché è nell’articolo. Diciamo che è una posizione che presta un fianco scoperto alle male interpretazioni. Sapevatelo! Capisco chi l’ha presa male.

    Più nel merito aziende-prodotti-sicurezza. In montagna ci vado con le mie gambe. Nella cacca mi ci ficco da solo. La piccozza x-factor in lega di Tenenza (di cui ho il brevetto!) non è un serial killer che ti isegue, non è una ferrari impazzita nella zona pedonale in mano a un ubriaco. L’ubriaco e il serial killer sono quelli che la comprano, semmai! Su tutti i prodotti di montagna ci sono TROPPI warning, tant’è che nessuno li legge più! È il principio del”al lupo al lupo”. Io personalmente non mi interesso dei produttori. Questi sono dei businessman che cercano di fare al meglio il loro lavoro. Venere prodotti. Io personalmente sono abbastanza a favore del liberismo. Perché è chi compra che deve essere responsabile, non chi vende. Senza scadere nella polemica delle armi (che per me andrebbero vietate tout court, per non essere frainteso), tutto il resto deve essere libero sugli scaffali.
    In un mondo molto specializzato e tecnologico, deve essere l’utente che si “alza” a capire il prodotto. Non può essere il contrario. La dinamica contraria porta verso il basso! Verso l’imbarbarimento dell’utente. Se io non sono “colto” abbastanza da capire che con la x-factor posso fare una cascata di grado 6 dopo 2 settimane di pratica, tolto il fatto che poi sono i balia degli eventi e probabilmente ci schiatto… sono affari miei. La Endemon (nota casa che vende x-factor) se ne deve fregare!
    Se il marketig del mondo prevede che senza la parola chiave “safety-sicurezza” non si possa parlare di nulla… non è colpa né della AziendaCheFaPicche né delle guide alpine o del Cai o della fasi (beh, della fasi si!). Se il pubblico (gregge) chiede sicurezza, le aziende appiccicano il cartello “sicurezza”. Cosa devono fare? Sputare controvento? Dire a chi gli compra i prodotti che sono una marea di pecore ignoranti e incompetenti?
    Dirgli la verità?!?
    Andare in montagna è pericoloso, e vendere picche è un invitare la gente a mettersi nelle grane. Questo è! Non facciamo finta di no! Scalare è bello perché (anche) è pericoloso, perché ci confrontiamo con le nostre debolezze, oltre che andare in posti che ci piacciono con gente che ci piace!
    Lo stesso vale per tutti i prodotti della montagna, comprese le uscite con le G.A.

    E io, che nella vita faccio lo “spacciatore” di sogni, sinceramente me ne frego (prendetelo con le pinze ma capite il senso) se qualcuno si è ammazzato ispirandosi alle gesta dell’alteta Taldeitali immortalato da me. Io ho cominciato a scalare perché sognavo di fare le cose che vedevo (e di cui leggevo) su Alp e OnTheEdge. E ho fatto delle cazzate inumane alle quali per fortuna sono sopravvissuto!
    E poi mi sono (o quantomeno ci ho provato) acculturato.
    Adesso 9 volte su 10 che faccio una cazzata, so che la sto facendo!

    E, come dico alla mia compagna e ai miei genitori almeno una volta l’anno, se crepo, sono ca##i miei!

    Concludendo questa sconclusionata accozzaglia di messaggi e idee, quello su cui vorrei soffermarmi in ultima analisi è una sola cosa: noi, in Italia, abbiamo una matrice di insegnamento e culturale di tipo umanistico. Che detto così suona bene. Che in realtà, a mio avviso, è la madre di tutti i mali. Noi siamo dei professionisti della parola, al bar siamo tutti campioni. Troviamo una giustificazione e una colpa per tutto. Tranne che per noi.
    Nei paesi a matrice culturale scientifico/matematica, questo non accade. La gente è abituata a fare i conti, a valutare e pesare i prodotti che compra, a documentarsi a fondo ogni volta che affronta un argomento o una nuova attività.

  7. 15

    Un conto è fare affidamento principalmente su sé stessi, consapevoli che la differenza non la fa l’attrezzatura ma la persona.
    Un conto è affidarsi completamente all’attrezzatura, illudendosi che possa rendere invulnerabili e risolvere qualsiasi problema…
    Purtroppo molte persone, soprattutto giovani (ma non solo…), propendono più per la seconda ipotesi.
    Come ha scritto Stefano Michelazzi: “Non vi è bisogno d’essere un esperto nella comunicazione di massa per rendersi conto che i messaggi mediatici sono quelli che deternminano l’andamento della società attuale, i quali possono fare e disfare qualsiasi situazione.” I più giovani sono i più vulnerabili, perché cresciuti in questa società che ti fa il lavaggio del cervello. Ecco perché è importante parlarne e esprimere un’opinione diversa, “fuori dal coro”. Secondo me, a un giovane si può dire: usa pure la tecnologia ma ricordati che sei tu il protagonista! Sei tu che decidi, sei tu che ti prendi la responsabilità di ciò che fai, sei tu che devi sapere ciò che fai, soprattutto se qualcosa va storto. Altrimenti sei solo un manichino che va in giro pieno di gingilli tecnologici ed elettronici. Puoi scegliere: usa la testa!
    Invece, sempre secondo me, discorsi del tipo: “Io sì che ho conosciuto la vera montagna! Senza cellulare e altre diavolerie! Ai miei tempi… Sì stava meglio quando si stava peggio! Non ci sono più le mezze stagioni!” i giovani li mettono in fuga. E, sinceramente, CHE BARBA!!!
    Per quello che è la mia modesta esperienza da insegnante, con certe prediche non si ottiene nulla. Essere propositivi e cercare di dare il buon esempio è molto più efficace. E parlarne. Come si fa qui!
    Buona serata!

  8. 14
    itineralp says:

    Stiamo costruendo una società dove la stupidità diviene un’alibi.
    Invece di alzare l’asticella delle responsabilità individuali, obbligando ciascuno ad assumersi colpe e meriti delle proprie scelte, l’abbassiamo al livello di quella minoranza rappresentata da sciocchi e stolti di ogni età e levatura sociale che hanno bisogno di leggere sul pacchetto di sigarette che il Fumo Fa Male.
    Ogni elettrodomestico che acquistiamo ha il libretto delle avvertenze con più pagine di quello delle istruzioni: vogliamo che anche il mondo alpinistico venga inondato da simili paradossi? Non si è sempre discusso del valore della libertà individuale, del diritto di sbagliare? Il bisogno di istruirsi e formarsi deve scaturire dalla propria consapevolezza, non come accessorio alla garanzia del rampone acquistato.
    Condivido il fastidio verso le Aziende che spacciano la loro merce con messaggi che fanno leva sulla sicurezza, ma il filtro verso questi messaggi dovrebbe essere ben più a monte che non sull’etichetta del prodotto sullo scaffale.
    Altrimenti, ripeto, la stupidità diventa un’alibi. Verso tutto.

  9. 13
    Alberto Benassi says:

    condivido pienamente quanto scritto da Stefano. E’ indubbio che con gli attezzi di oggi si possano fare più facilmente cose che con gli attrezzi di un tempo non era proprio semplice. Ma se avevi del manico, della preparazione, se possedevi la tecnica, le facevi e anche in sicurezza. Perchè non conta la scarpa, ma il piede (e la testa) che c’è dentro.
    Ma sta qui il problema. Come giustamente scrive Stefano. Siamo veramente coscenti di quello che si fa?

  10. 12
    Alessandro Gogna says:

    Caro Domenico, mi dispiace che tu abbia poco tempo per leggere con attenzione le “seghe mentali” che ti sottopongo. Pietro c’entra per dire che se è successo a uno come lui, che appunto non aveva alcun bisogno di consigli dalle aziende e che “si faceva i cazzi suoi”, allora occorre davvero stare in campana, soprattutto in un festival in cui tutto sembra sotto controllo. Non mi sembrava difficile da capire.
    Quanto a Ricky: se mi hai un po’ seguito negli ultimi 16 mesi di questo blog sai per certo che non faccio parte della genia di coloro che vorrebbero affibbiare la responsabilità a chi non ce l’ha. Mi dà solo un gran fastidio che per i produttori tutto vada sempre bene, che il messaggio sia più compri l’ultimo attrezzo più puoi stare sicuro.

  11. 11

    A pensarla così Ricky Felderer la vittima del serial killer di turno è colpevole di essersi fidata di lui che magari era il vicino di casa finatmente gentile, chi si è visto investire da un auto guidata da un ubriaco è colpevole di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, il ragazzino delle medie che si buca è colpevole di essersi fidato dello spacciatore e così via…
    Magari le cose non stanno proprio così…
    Se si è coscienti di ciò che si fa sono assolutamente concorde che sia una scelta personale farlo o meno, ma è proprio questo il punto:essere o meno coscienti: senza cercare il colpevole di turno ma dando spunti per migliorare una situazione sociale, visto che viviamo in una società (che ci piaccia o no) e ne seguiamo e condividiamo le regole.
    Negli anni ’80 molti dei miei amici si facevano e ne hanno subito le conseguenze dirette ed indirette e non sono servite certo le leggi proibizioniste per cambiare la situazione, ciò che ha cambiato la rotta sono state le campagne culturali che hanno permesso di prendere coscienza della realtà che veniva falsata da molteplici fattori, non ultimo il mondo della musica, micro-universo degli adolescenti, che creava falsi miti ed eroi. Immagini che ancora oggi a trent’anni di distanza sono capcai di mietere vittime.
    Parlarne quindi non è delitto ma informazione (alla quale forse non si è più abituati, troppo intenti a farci servire notizie premasticate e rivisitate a comodo) poi ognuno la vede e interpereta come crede, intanto c’è…
    Non vi è bisogno d’essere un esperto nella comunicazione di massa per rendersi conto che i messaggi mediatici sono quelli che deternminano l’andamento della società attuale, i quali possono fare e disfare qualsiasi situazione. L’etichetta perlatro obbligatoria per legge e non per motivazioni etiche (fino a qualche anno fa non appariva) che l’attività alpinistica è pericolosa, esposta sui prodotti di genere sembra l’informazione ridicola che il fumo fa male sui pacchetti di sigarette…
    In quanto al commento di Domenico, non riesco a comprendere dove stia il peccato visto che è stata riportata una notizia che ha rimbalzato su stampa e social network per almeno una settimana con miriadi di commenti di ogni genere e visto che non la si disegna come un errore ma come una tragica fatalità occorsa ad un fuoriclasse e professionista.
    Mi sembra logico (leggendo bene però) che il concetto che passa sia quello che se può capitare ai migliori, preparati ed attenti, per i meno preparati ed abili, il rischio sia esponenzialmente più elevato. Logico ed elementre probabilmente, ma per svariati motivi non sempre captato.
    Non trovo questo messaggio né offensivo né diseducativo, anzi direi in tutti e due gli ambiti esattamente il contrario.

  12. 10
    rikyfelderer says:

    My two cents:
    A mio modo di vedere (e come è nei paesi “civili”, vedi CH e GB) la responsabilità “prima” di chi fa qualcosa, è di chi la fa!!! Basta con sta questione tutta italiana (latrice di miserie intellettuali) di cercare un colpevole alieno. Se uno va in montagna con le picche x-factor+ in lega di trazionite, sono affari suoi. Come se uno prende una porsche carrera GTS, sono affari suoi (fin tanto che si fa male per i cacchi suoi, ovviamente). Va a 350 all’ora e buon per lui che può comprarsela. Va a girare in pista e se sbatte può morire. Come può morire in tangenziale! l’Homus sapiens è sapiens proprio perché ha l’uso del cervello. Può scegliere di usarlo oppure no.

    Se uno si fa rapinare i soldi al gioco delle tre carte, sono affari suoi, non è colpa del truffatore, delle carte o del governo che non fa nulla!

    Per finire, credo che domenico, seppur con parole magari non troppo educate, abbia espresso un parere condiviso da molti.

  13. 9

    “Con gli ultimi attrezzi anche scalatori mediocri possono raggiungere risultati notevoli.”
    Non sono d’accordo. Se fosse così sarebbero tutti fenomeni.
    Non aggiungo altro perché il mio pensiero lo ha già espresso, parola per parola, Stefano Michelazzi nel suo primo intervento.
    Buona giornata a tutti!

  14. 8
    Domenico Mottarella says:

    Non ho proprio capito cosa c’entra Pietro in tutto questo discorso, si è sempre fatto i cazzi suoi e ha sempre cercato di vivere al posto di farsi seghe mentali come queste.
    Se non sai cosa fare non è colpa mia, ma almeno lascia stare i nomi e i ricordi di chi non c’entra niente.

  15. 7

    Giorgio non sono ironie direi tutt’al più che le tue opinioni sul come lavorano le Guide siano piuttosto confuse e fuori campo.
    Di corsi sia io che i miei colleghi ne organizziamo tantissimi, di ogni genere, dal promozionale, al corso base, al corso avanzato, al corso di più giornate con pernottamento in rifugio, ecc. ecc. e su tutte le attività che ci riguardano. Certamente ci attestiamo, diversamente dall’usanza dei corsi CAI o almeno di buona parte, su un numero massimo di partecipanti che permetta di seguire da vicino ogni componente assicurando cura e sicurezza che con i grandi numeri è poco probabile. Troverai anche stages dimostrativi che allora possono prevedere un numero maggiore di partecipanti, ma solitamente (nel mio caso sempre) il numero è di un massimo di 4 persone. Il costo ovviamente per noi è un guadagno e non beneficenza e con numeri così minimi non può essere poco importante, malgrado ti assicuro costi molto meno di ciò che molti pensano (non a caso di corsi ne proponiamo e svolgiamo ogni anno) Solitamente sono a carattere intensivo e dopo due o più giorni passati continuamente con la Guida che ti insegna ti assicuro che non hai bisogno di fare chiacchiere serali supplettive, visto che le fai comunque a fine giornata. Un corso tipo inizia al mattino (8.00 -9.00 del mattino) e finisce in serata dopo una giornata in esterno e tre o quattro ore di teoria. Va a finire spesso che si lavori per 10-12 ore e quindi i costi sono più che giustificati direi…
    In ogni caso se dai una scorsa ai vari siti di singole Guide o di diversi gruppi te ne accorgi da solo.
    Se non bastasse, partecipa ad un corso e valuta sul campo… 😉

  16. 6

    @Franco Una volta tanto che ero “pro-CAI” … mi affondi il coltello nella piaga e mi tocca tornare a mugugnare anti-CAI… 😉 scherzi a parte! suoi “rimborsi spese per l’organizzazione dei corsi”: nella mia esperienza personale i costi vivi dell’organizzazione dei corsi CAI AG2 (arrampicata su ghiaccio) è veramente una frazione minima rispetto a quanto fatto pagare agli allievi, che in questo contesto tipo di corsi si procurano l’attrezzatura individuale a totali proprie spese. Per questo io parlavo di possibile gratuità, che non è solo una provocazione.

    In generale, bisogna che il CAI faccia completa chiarezza sul giro del fumo del denaro dei “soci” (vedi anche la “questione CNSAS”, la gestione dei rifugi, etc. etc. argomenti trattati in altri thread di questo blog), ma come accennavo, questo sottoproblema, interessante certamente, è fuori argomento rispetto l’oggetto dell’articolo, che forse ha importanza ancora magiore 🙂

    @Stefano Invece che fare ironie (poco vere e utili ai più) su di me, potresti portarci dei fatti 😉

  17. 5
    Franco Pecchio says:

    @Giorgio
    pur concordando sul tuo intervento ricordo che i corsi CAI sono tenuti da volontari non retribuiti e il costo del corso è a titolo di rimborso spese per l’organizzazione del corso stesso. Chiedere che i corsi siano tenuti gratuitamente richiede che sia cambiato lo statuto del CAI e che gli sia assegnato un compito istituzionale quale, al momento, non è.

  18. 4

    Giorgio sulle Guide Alpine appari spesso malinformato e anche stavolta… 😉

  19. 3

    In controtendenza segnalo l’iniziativa dell’associazione camptocamp.org e della fondazione Petzl con la firma di Marzo 2015 di una convenzione per migliorare la gestione dei rischi in montagna (http://www.camptocamp.org/forums/viewtopic.php?id=270865&p=1) in cui Petzl metterà a disposizione le competenze tecniche a tutti i partecipanti della community, inoltre sarà implementato un data base di raccolta degli incidenti e delle situazioni a rischio in montagna per raccogliere informazioni sugli scenari “rischiosi” (accidentogène”).
    Il testo della convenzione completo qui: http://www.camptocamp.org/static/pdf/communication_Camptocamp_Petzl_12032015.pdf
    Franco Pecchio (camptocamp.org)

  20. 2

    Premessa: credo che il tragico incidente sia successo incidentalmente in quell’occasione (per quel poco che so). non mi permetto assolutamente di commentare il perchè o non-perchè è venuta giù roba (e persona)… è sempre “sbagliato” dire qualcosa se non si era lì in quel momento in quel posto, ed anche in quel caso… puàùessere che nemmeno essendo lì sul posto ci si riesce a capacitare del perchè e del come… lo sa chiunque ha un minimo di esperienza (di montagna) cosa intendo.

    In generale, personalmente detesto questo tipo di eventi-fiera, e più in generale i siti di arrampicata (artificiale) su ghiaccio. In Italia per esempio c’è l’Ice-festival (non ricordo come si chiama) in Val Varaita (che è blandamente sponsorizzato se no sbaglio, e comuqnue non è una fiera espositiva di aziende produttrici, ma un simpatico evento “ludico”). Le falesie di ghiaccio non mi piacciono troppo, un pò come non mi piacciono le falesie su roccia. Spesso i principianti salgono con la corda dall’alto il che va bene, benissimo, ma temo spesso crei una falsa illusione di “sicurezza” e quindi non sia troppo “istruttiva” rispetto al rischio di arrampicata in ambiente.

    Sono perplesso sulle proposte qui, su quello che dovrebbero fare le aziende produttrici di materiali.

    Perchè se cultura del rischio, informazione su tecnica, etc. e sopratutto finanziamenti, se tutto ciò fosse sponsorizzato (anche solo in parte) da aziende private, ci sarebbe interesse inevitabile sul profitto aziendale. Più in generale, pensa alla ricerca scientifica, e cosa succede quando pilotata da interessi privati di aziende facoltose (se ne parlò tempo addietro su questo sito, a proposito di OGM, farmaci per diabete, etc.).

    Ma Vediamo i fatti, a riguardo dell’educazione all’arrampicata du ghiaccio, in Italia. Chi la fa ?

    1. Il Club Alpino Italiano:
    Fa corsi di arrampicata di ghiaccio (credo ora si chiamino AG2), io feci l’ARG2 (che richiede aver fatto proima il corso base di alpinismo ARG1). Si tratta di corsi ben fatti nell’impostazione. Poi ovviamente tutto si declina sulle capacità degli istruttori CAI, sui quali spesso è necessario stendere pietoso velo, è vero, ma in generale i corsi CAI (che NON sono gratuiti per l’allievo) sono la cosa più seria.

    2. Le Guide Alpine:
    Non mi risulta facciano corsi strutturati di arrampicata su ghiaccio per i clienti. Intendo corsi ufficiali programmati / organizzati aperti al pubblico come quelli del CAI che implicano 5/6 lezioni teoriche e 5/6 uscite in ambiente (vado a memoria).
    Per quel che ho sempre visto, le guide organizzano, a titolo personale o spesso in collaborazione tra loro, brevi corsi introduttivi (“promozionali” mi verrebbe da dire), di qualche giorno max, con costi paragonabili alla somma delle giornate con un pò di bel sconto. Non mi risulta che le guide alpine insegnino ai clienti, attraverso specifici corsi, le tecniche di progressione andare da primo (su ghiaccio / in alta montagna), nè corsi generali sui pericoli e rischio (bho forse qualcosa in ambito di uscite scialpinistiche, non sono informato perchè non scio).

    3. Aziende costruttrici (Italiane e non)
    Non mi risulta che organizzino corsi, nè istruzione,nè cultura di base. La Petzl forse è stata la prima azienda che da molti anni promuove documentazione sull’utilizzo di tecniche (per certi versi discutibili, infatti negli ultimi anni mi risulta che la Petzl non investa più su dettagli della sua documentazione tecnica). Ci sono sicuramente state rogne legalilegate ad incidenti… ma questa è probabilmente un’altra faccenda qui fuori argomento.

    Personalmente, sono per l’istruzione pubblica e malgrado tutto sostengo il lavoro fatto dal CAI (che averebbe pure i soldi per fare i corsi gratis… ma questa è polemica per un’altra volta).

  21. 1

    Come giustamente riporta l’articolo, Pietro Biasini non aveva certo bisogno di sapere cosa significhi guadagnarsi le mete più difficili, attraverso l’esperienza maturata. Il suo incidente non fa statistica. Dovrebbe far pensare però, che se climbers bravi come lui, professionista della montagna, che ne ha macinate di ogni, non sono indenni dal rischio, principianti o climbers della domenica dovrebbero volare più basso di ciò che invece sta accadendo.
    Poi, ovviamente, ognuno è libero di seguire il proprio destino come meglio crede, ma probabilmente una soluzione come quella proposta dall’articolo potrebbe essere un bel passo avanti per far sì che effettivamente tutti si rendano conto dei rischi che si corrono con attività potenzialmente mortali.
    “… la maggior parte sa quanto allenamento e fatica i più bravi abbiano dovuto fare per essere tali.” e ” Tutti i praticanti sanno che l’attività è a proprio rischio.” sono concetti che non mi trovano d’accordo nel loro valore assoluto. La forma verbale, la ritengo più consona al condizionale…
    Ho tenuto corsi di arrampicata su ghiaccio con principianti che sono arrivati con attrezzature specifiche, le quali vista la loro incapacità tecnica erano assolutamente contro-producenti per imparare e quindi migliorare il livello, però, almeno questi volevano imparare, anche se l’assioma miglior attrezzo (il più costoso solitamente)= migliore prestazione. Come detto, veniva scambiato per il concetto, il quale invece dovrebbe essere principe in questo caso, di: attrezzo adeguato= migliore prestazione.
    E quindi, l’ipotesi che l’attrezzo di grido ci faccia essere più bravi, è molto spesso (nella maggiorparte dei casi direi) una fantasiosa certezza.
    Il video che correda l’articolo la può dire lunga sulle capacità tecniche dei protagonisti, nonostante ciò evidentemente la personale convizione di essere ad un buon livello, li spinge a confezionare un video da pubblicare per sentirsi appagati e forti climbers nell’immaginario collettivo dei propri amici (e magari sperando di venir riconosciuti tali anche al di fuori della cerchia ristretta…).
    “Delirio d’immagine”, tutti vogliono apparire ancor prima di essere, tutti vogliono sentirsi già arrivati, come se essere principianti fosse una vergogna, come se chiedere, formarsi, imparare e fare esperienze fosse attiività da cretini.
    Le aziende produttrici questo lo sanno molto bene e lo sfruttano… Ricordo un “Meeting delle Montagna” di Lecco, nel ’97 o forse nel ’99 dove l’argomento principale era proprio il rapporto con le aziende e ricordo molto bene la mia arringa, nei confronti di una sempre maggiore commercializzazione spinta a far credere che, la montagna e le sue attività siano un giochino per tutti, invece di ciò che realmente sono:
    un gioco certamente, ma con regole ferree e conseguenze catastrofiche quando perdi la partita…
    Le orecchie di chi ascoltava al tavolo opposto furono da mercante, d’altra parte dai mercanti che ci si può aspettare?
    Se un tempo le aziende di settore erano delle piccole imprese tutte intente a creare qualcosa di appassionante già per chi le creava, essendo quasi tutte, espressione di appassionati e frequentatori (Cassin e Chouinard tanto per fare due esempi tra i più importanti) ed un discorso di presa di coscienza poteva indubbiamente essere fatto, con le moderne multinazionali aliene da ogni identità soggettiva un mercato etico non credo sia ravvisabile, ma proviamoci, chissà che il mercante non trovi che la strada possa essere produttiva in divenire e magari faccia un primo passo…

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