Ennedi e Tibesti

Ennedi e Tibesti
di Rocco Ravà

Il Ciad è un paese immenso, che si estende soprattutto in lunghezza e l’enorme estensione in latitudine gli conferisce un’inusitata varietà di climi e morfologie, di paesaggi ed etnie che lo abitano. Il suo territorio è caratterizzato da due zone profondamente diverse, il cui confine possiamo dire sia la strada che collega la capitale N’Djaména, alla città di Abéché nell’est. La fascia meridionale è saheliana e savanosa; la fascia settentrionale, che ricopre circa i due terzi della superficie totale del paese, dapprima saheliana diventa rapidamente desertica e costituisce ciò che viene chiamato Sahara ciadiano. E’ di questo deserto che voglio raccontarvi.

Un preambolo è necessario, perché il nome Ciad evoca ancora pensieri e dubbi di sicurezza e pericolosità.

Borkou
Ciad-1.Borkou
Questa terra ha avuto una storia travagliata, è vero, fatta di lunghi anni di guerra: guerra civile, guerra con la Libia e ribellioni interne. Ha subito, non sempre giustamente, una mediatizzazione negativa e a volte poco precisa, che l’ha dipinta come destinazione pericolosa; negli ultimi anni anche per la vicinanza al Darfur. Bisogna parlare della realtà e dire come le cose stanno, ma oggi il Ciad è un paese in grande evoluzione verso il suo avvenire, e sicuro per diverse ragioni: un governo forte e un esercito di grande efficacia nel controllo del territorio. Il Presidente e il governo hanno grande considerazione del turismo, specchio che riflette l’immagine del paese all’estero, e vi è quindi molta attenzione a qualsiasi aspetto legato alla sicurezza e al rilascio dei permessi per viaggiare. Il mio lavoro è quello di organizzare e guidare spedizioni e viaggi in questo paese; la mia opinione potrebbe sembrare di parte, interessata: posso solo aggiungere che ogni anno viaggiano con me Miriam ed Elia, i miei bambini. In vent’anni di viaggi nel Sahara Ciadiano, non è mai capitato un incidente grave che abbia coinvolto un gruppo di viaggiatori, fatto che è invece capitato in altri paesi limitrofi, nei quali ho lavorato. E’ un punto che mi sta a cuore, proprio per il grande amore che nutro per questa terra unica e ancora così selvaggia.

Nel 1992, non appena è stato possibile, la grande famiglia di Spazi d’Avventura, capeggiata da mio padre, Piero Rava’, è partita dal Niger, dove vivevamo e lavoravamo, con un manipolo di fidi autisti e meccanici tuareg, alla volta del Ciad, vero e proprio sahariano. Abbiamo inseguito un sogno covato per anni, riuscire per primi ad “aprire” al turismo questa magnifica e sconosciuta porzione di deserto, ed è stata una vera epopea: abbiamo iniziato ad esplorarlo come da trenta anni non si faceva più, affrontando dure sfide logistiche, a volte situazioni difficili ed esperienze impegnative, per riuscire a far conoscere una terra dalle tinte forti, dal carattere duro ma ammaliante.

Tassili di Kourodi
Ciad-2.Tassili di Kourodi
Il deserto ciadiano, è ancora oggi una delle parti meno conosciute del deserto dei deserti, la più selvaggia e la più estetica, paesaggi inauditi da mozzare il fiato, luoghi e atmosfere uniche al mondo. Questo deserto è un vasto terreno d’avventura e d’esplorazione: il massiccio dell’Ennedi, un giardino sahariano, deserto vivo per flora fauna e umanità; i laghi di Ounianga, imprevedibili specchi d’acqua, che come macchie di vernice blu verde e rossa affiorano da una tela di sabbia. Il Tibesti, mito sahariano, fortezza vulcanica dalle dimensioni giganti, là dove le montagne del deserto arrivano più alte nel cielo.

Le grandi difficoltà geografiche per penetrare questo territorio, le immense distanze da percorrere, l’indipendenza e la fierezza delle genti guerriere che da sempre lo abitano, l’essere in parte fuori dalle grandi rotte carovaniere, hanno fatto sì che il deserto del Ciad sia una delle ultime parti del Sahara a essere stata visitata dagli Europei. Per gli stessi motivi la colonizzazione francese è stata molto ardua e difficoltosa. Per lungo tempo in guerra e occupata anche dalla Libia di Kadhafi, questa regione non è stata più oggetto di studi precisi dagli anni ‘50 e ‘60, ed è rimasta quindi più sconosciuta di altre aree sahariane.

Tibesti e Ennedi, due grandi massicci montuosi, sono l’ossatura di questo deserto: il primo, di origine vulcanica è il più esteso (100.000 Kmq, 1/3 dell’Italia) il più imponente, il più alto di tutto il Sahara, e occupa l’estremità settentrionali del paese sconfinando con un suo piccolo braccio, il Dohone, in Libia ; il secondo, di origine sedimentaria (40.000 Kmq, grande come la Svizzera) ha caratteristiche climatiche che lo rendono unico, si estende nella parte nordorientale del paese, dando nome oltre che al massiccio vero e proprio anche a tutta la regione desertica che da esso spazia verso Nord : depressioni del Mourdi, Erdis e laghi di Ounianga.

Alla base dell’Emi Koussi
Ciad-3.base dell'Emi Koussi


Ennedi

Di forma triangolare, l’Ennedi è un massiccio arenaceo antichissimo (650-300 milioni di anni fa). I suoi lati sono stati smembrati da un’erosione spettacolare in una moltitudine di gruppi montuosi minori con tipiche formazioni tassiliane (tassili è un termine geografico arabo che indica formazioni di arenaria fortemente scolpite dagli agenti atmosferici). In nessun altro luogo il vento e l’acqua hanno creato forme più strane: guglie sottili, castelli merlettati, archi e canyon profondi colpiscono senza sosta il nostro immaginario, mescolati magistralmente dalla fantasia della natura a oued verdeggianti con acacie secolari e dune dalle forme sinuose. Pur trovandosi all’interno dei confini geografici sahariani, gode di un clima particolare: una pluviometria sicuramente abbondante per la sua latitudine, perché è il primo ostacolo incontrato dagli alisei di sud-ovest, e circostanze orografiche lo rendono un ecotono, una sfumatura ambientale tra deserto iperarido e savana. La posizione geografica, la forma delle valli che lo intagliano e la falda freatica degli oued, fanno sì che la vegetazione al suolo impedisca eccessivi fenomeni di traspirazione e evaporazione, mantenendo condizioni di vita particolari per uomini e animali. E’ un deserto vivo.

E la vita rende unica questa porzione di Sahara: una flora ed una vegetazione così ricca, quasi tropicale permette la vita di varie specie animali (babbuini, patas, gazzelle, iene, procavie, felini) e quasi inspiegabilmente anche agli ultimi coccodrilli del Sahara, fossili viventi, guardiani di Archei. Questa guelta nascosta è l’epicentro della vita: uomini e centinaia di cammelli si abbeverano da secoli in un’atmosfera biblica. Un immenso arco naturale, capace di contenere Notre-Dame de Paris, si appoggia su Aloba, montagna sacra per i Bideyat.

Yebbi Bou
Ciad-4.Yebbi Bou
Nelle gole di Bachiguelè, all’ombra delle falesie di arenaria rossa, su un letto di sabbia bianca ricoperto di prato all’inglese, un corso d’acqua serpeggia per un chilometro, alimentato da una sorgente a monte; una vera e propria foresta-galleria, simile a quelle che costeggiano i corsi d’acqua del Congo, è formata da questi alberi straordinari, i cui tronchi si incollano alle pareti di roccia con un fogliame scuro e le cui radici si contorcono sulla superficie del suolo verso l’acqua. Tra queste pazzesche sculture vegetali,oltre a ficus e ibiscus, troviamo alcuni esemplari di Rauwolfia caffra, un albero che cresce normalmente solo in Africa tropicale ed equatoriale.

A testimoniare la continuità di culture e tradizioni quasi immutate nel tempo, una moltitudine di ripari rocciosi finemente dipinti dagli antenati degli attuali nomadi. L’arte rupestre ha qui uno stile tutto particolare, a sé stante, che segue un’evoluzione stilistica e artistica, quasi in inversione di tendenza rispetto alle altre regioni sahariane.

L’Ennedi è l’immagine di un Sahara più antico, di un Sahara forse simile a come era nel neolitico. Nel Sahara poche specie sono realmente sahariane: su una ventina di specie di serpenti, una sola, la vipera cornuta (Cerastes cerastes), è endemica. Paradossalmente c’è ancora molto da apprendere su questo deserto. Gli insetti, gli alberi, le rane sono la testimonianza vivente di un periodo felice, di un’età dell’oro nella quale il deserto doveva essere una sorta di paradiso terrestre. E l’Ennedi è la regione sahariana che più assomiglia a questo paradiso, dove qualche vestigia è sopravvissuta al riparo delle sue gole. Ancora oggi è un vero e proprio Eden nel Sahara.

Giovane Tubu
Ciad-5.Tubu
Una nota a parte meritano i sorprendenti laghi situati nella regione di Ounianga, a nord-est del massiccio, oltre la grande depressione dunare del Mourdi. Sono un’eccezionale falda freatica affiorante, concentrati attorno alle oasi di Ounianga Kebir (con il Lac Yoa, il più grande) e di Ounianga Serir.

L’acqua in essi contenuta è sia dolce che salata, là dove vengono inglobati i depositi di carbonato di sodio lasciati dalle antiche ingressioni marine. Attorno, una cintura formata da palmeti, falesiette di arenaria multicolore, dune gialle a picco sull’acqua e sparsi accampamenti Ounias e Teda, rende questo luogo sicuramente uno dei più inaspettati dell’intero Sahara.

Tibesti
Il Tibesti è un enorme apparato vulcanico che ha origine circa 70 milioni di anni fa. La sua forma ricorda una gigantesca testa di bue: il muso è l’enorme cratere dell’Emi Koussi (3415 m, la più alta cima del Sahara) e le corna si affilano abbasandosi l’una verso il Niger, l’altra verso la Libia. E’ prima di tutto una fortezza, un‘imprendibile roccaforte (e la storia lo ha più volte dimostrato), eretta in pieno deserto. La montagna è da sempre e ovunque l’habitat adottato dai popoli pastorali, e il Tibesti è il rifugio ancestrale dei Toubous, il più antico popolo autoctono del Sahara. Austeri e grandiosi, aridi e tormentati, i rilievi di questa fortezza persa nel mezzo delle sabbie, ripara una popolazione resistente a qualsiasi prova e profondamente legata dal sentimento dell’appartenenza clanica; un tale ambiente ha forgiato uomini rudi e indipendenti, e qui le amministrazioni centrali non hanno mai avuto un compito facile. Fu infatti l’ultima regione sahariana a essere conquistata dalle forze coloniali francesi. Questo popolo chiuso su sé stesso, non ha lasciato grande reputazione nella storia. Da Erodoto, che li menziona come Trogloditi Etiopi, gli uomini più rapidi nella corsa che abitano caverne e rocce e con una lingua che ricorda le grida dei pipistrelli, fino ai giorni nostri, con le vicende delle varie ribellioni e per esempio dell’Affaire Claustre. E’ però sicuramente l’etnia sahariana che ha spinto più lontano i limiti dell’adattamento alle condizioni desertiche estreme, dimostrando di poter vivere dove nessun altro è stato capace.

Incisione rupestre a Gonoa
Ciad-8.Gonoa, l'uomo di gonoa
Nell’inverno del ‘92 ho visto per la prima volta il Tibesti. Il lungo tragitto di avvicinamento faceva crescere l’emozione, trepidavo per scoprire finalmente la grande roccaforte e conoscere i Teda, di cui avevo sentito una miriade di racconti nelle notti sahariane intorno al fuoco. Ciò che mi ha colpito da subito è stata l’immensità, la grandezza delle montagne. Un infinito susseguirsi di distese vulcaniche, che i Toubous chiamano Tarsos, veri e propri mari di lave pietrificate, così specifici di queste montagne; una straordinaria complessità del paesaggio dove sette edifici vulcanici principali dominano con le loro cime dalle notti glaciali gli altopiani di lave basaltiche e riolitiche, intagliati da oued accidentali che qui si chiamano enneris. In questo universo minerale e lunare, apparentemente privo di vita, all’improvviso si aprono gole e canyon più o meno profondi, dove l’acqua più vicina alla superficie permette l’esistenza di piccoli palmeti, della vegetazione e di villaggi fuori dal mondo. Il vulcanismo è il marchio di questa terra. In pochi luoghi ha lasciato tracce ancora vive come a Soborom, dantesco decoro di fumarole e bollenti fanghi argentati, o come a Yi Yerra, dove una flacca d’acqua dalle temperature più miti è il miglior bagno che si possa immaginare alla fine della lunga discesa dall’Emi Koussi. Dove invece si è completamente addormentato, la sua antica violenza è onnipresente sotto forma di organi basaltici, di gigantesche caldere come l’Erra Kohor sulla cima del Koussi o il celebre Trou au Natron ai piedi del Pic Toussidé: un gigantesco abisso dal fondo tappezzato di carbonati e altri solfati di sodio, una distesa dal bianco abbacinante interrotta solo da piccoli e più giovani coni vulcanici che ci ricordano la prossimità della forgia.

Trou au Natron al Pic Toussidé
Ciad-10.trou au natron2
Ci sono tornato più volte fino al ‘98, quando una nuova ribellione, quasi a seguire un ciclo continuo, ne ha chiuso di nuovo le porte, poco dopo che ero sceso dall’Emi Koussi. Dodici anni dopo il Tibesti si riapre, e per uno strano destino mi sono ritrovato subito sulla cima della montagna più alta del Sahara. Nulla era cambiato: la stessa strana sensazione di sentirsi nel punto più alto di una regione di nove milioni di chilometri quadrati, la stessa stupefacente vista sull’orizzonte che continua fino ad incurvarsi, ricordandoci che la terra è tonda. Ora il Tibesti si riapre nella sua interezza.
Ennedi e Tibesti, così diversi tra loro, così unici nella loro particolarità, sono un paradiso del trekking o della randonnée chamelière, una miniera di itinerari, passaggi e piste sempre alla scoperta di qualcosa di nuovo. Viaggi come l’Emi Koussi o il Gouffre di Koboué sono must delle spedizioni sahariane.

Il viaggio a piedi è senz’altro la forma più naturale e tradizionale del viaggiare nel Sahara: camminare per spostarsi, camminare per viaggiare, è la forma di viaggio più vicina allo stile di vita delle popolazioni sahariane.

Il contatto pressoché permanente con l’epidermide del pianeta e il fatto di essere al centro stesso dell’orologio astronomico della terra, che da solo organizza l’esistenza quotidiana del viaggiatore a piedi, produce un’adesione realmente costante con la natura che regola anche i ritmi vitali tra giorno e notte, facendo sì che si viva, come dice Théodore Monod, “au rythme meme du Cosmos… comme les autre betes“.

Il viaggio a piedi nel Sahara permette di ritornare a un mondo semplice ed essenziale, permette un contatto con la natura e gli uomini che la abitano più profondo, cui noi, uomini e donne occidentali, abbiamo perso l’abitudine: il camminatore vede ed osserva una miriade di particolari-animali, tracce, piante, reperti archeologici- che solo questo tipo di progressione permette, entra nel paesaggio proprio perché il viaggio è fatto da lui stesso, dal concatenarsi dei suoi passi che lo accompagneranno dall’inizio alla fine di ogni tappa, dall’inizio alla fine del viaggio; il contatto umano si approfondisce perché si vive con chi del viaggio ha fatto il cardine della sua vita, il nomade, vero ed unico abitante di queste regioni, condividendo realmente alcuni dei ritmi della sua vita, unico modo di poter vivere e spostarsi in un contesto così difficile. E’ un modo di conoscere “al microscopio” l’ambiente, umano e geografico, che ci circonda.

Viaggiare a piedi nel deserto non è soltanto una scelta se così si può dire filosofica ma anche una scelta logistica di viaggio: soltanto a piedi si possono raggiungere alcune regioni altrimenti inaccessibili, grandi zone d’isolamento.

Discesa al Trou au Natron al Pic Toussidé
Ciad-12.discesa al trou au natron


Alpinismo

E’ nel deserto del Ciad, dove le montagne occupano un posto così importante, che si sfata più che altrove l’antico stereotipo occidentale che dipingeva il Sahara come il “grande vuoto” pieno di sabbie: la sabbia sotto tutte le sue forme occupa soltanto un quinto del deserto più perfetto al mondo. E nel resto di questo spazio cosa c’è allora? Soprattutto grandi pianure a perdita d’occhio, i reg; molte e contorte cicatrici sull’epidermide della terra, gli oued, testimonianza di un’antica e sviluppata rete idrografica; e poi naturalmente montagne, o meglio immensi massicci montuosi.

Di origine vulcanica o sedimentaria, composti da graniti, basalti e arenarie, formano immense regioni a sé stanti. Particolari e diversi per forme e morfologia, hanno però una caratteristica assolutamente desertica che li accomuna: non si presentano con l’aspetto di una catena di cime legate l’una all’altra, non formano un insieme compatto; le cime sono spesso separate e distanti, sorgono isolate dalla terra. Ciò che colpisce da subito è la forza della dimensione verticale, il vigore del loro rilievo; senza transizione enormi masse rocciose sono appoggiate sul deserto, sembrano sorgere direttamente dalle piane che si estendono ai loro piedi, contrasto unico nella vastità, nell’estensione, e nella dimensione del vuoto spaziale in cui si inseriscono con prepotenza verticale. E’ forse questo il motivo che nel deserto, più che altrove, rende difficile valutare le dimensioni di una parete. Grande varietà delle forme: e così torri, pani di zucchero, domi, coni, guglie, enormi bastionate che facilmente fanno palpitare cuore e fantasia dell’alpinista, risvegliano negli scopritori di spazi verticali che siamo, mille desideri d’esplorazione e di scoperta.

Ci si confronta con una roccia particolare, sia che si tratti di granito, di basalto o di arenaria, che richiede qualche tempo per farsi conoscere, rocce cotte dal sole con la tipica patina sahariana. L’odore resta a tutti nelle narici: è minerale allo stato puro, senza contaminazione.

La storia alpinistica in Ciad si riassume in poche righe per gli stessi motivi per cui a lungo queste zone sono rimaste sconosciute, ed è ridotta rispetto a quella di altri massicci sahariani come l’Hoggar. Dall’inizio degli anni ‘50 alcune spedizioni hanno iniziato l’esplorazione verticale del Tibesti, gli Svizzeri capeggiati da Edouard Wyss-Dunant, un paio di spedizioni inglesi, e nel ‘63-’64 una spedizione italiana guidata da Guido Monzino. Come è logico, hanno salito alcune delle cime principali, per le vie normali. In epoca più moderna, a metà degli anni novanta, Jerry Moffatt e Heinz Zak hanno fatto una tournée dedicandosi a salire piccole torri senza l’apertura di grandi vie.

Pic Toussidé
Ciad-14.Pic_Tousside
Nell’Ennedi nessuno ancora era venuto per arrampicare fino al novembre 2010, quando abbiamo accompagnato il The North Face Team alla scoperta di queste strabilianti formazioni d’arenaria. Una squadra di fortissimi alpinisti, composta da l’inglese James Pearson e gli statunitensi Alex Honnold, Renan Ozturk e Mark Synott, ha passato dieci giorni nella bordure meridionale del massiccio aprendo delle nuove vie a Chigeou, Bamena e Bachiguele. La loro attenzione era attirata dalle strutture più stravaganti senza interessarsi alle pareti e falesie più alte e imponenti. Aldilà della manciata di vie nuove, alcune delle quali, a dir loro, tra le più memorabili e belle che abbiano mai salito finora, credo che il più grande successo sia la scoperta e la convinzione di quale potenziale alpinistico sia custodito nel massiccio: centinaia e centinaia di torri e pareti straordinarie ancora inviolate. Le parole di Pearson, che l’ha definita la “spedizione della vita”, sono molto eloquenti: “Per far corta questa lunga e sabbiosa storia, il viaggio è stato uno di quelli che si ricordano a lungo – semplicemente incredibile. Dopo una giornata di volo, 3 giornate e mezze spese attraversando la sabbia del deserto, abbiamo avvistato per la prima volta questo mondo alieno, il più isolato dalla civiltà che io abbia mai visto. Una terra dove tutto era ancora da scalare! Era difficile da credere, ma secondo la nostra guida (anche lui uno scalatore e una delle poche guide in questo settore, con 40 anni di esperienza nel deserto), siamo stati il primo gruppo di alpinisti a visitare questo luogo! C’erano sottili archi e torri che spuntavano in ogni direzione, un parco giochi vergine con le migliori linee tutte ancora da aprire ed esplorare – le foto non avevano mentito. . I nomadi del deserto sono tra le persone più forti e resistenti che abbia mai incontrato. Ai miei occhi ignoranti, questa distesa sterile non offre nulla per poter sopravvivere, eppure in qualche modo queste persone riescono a crearsi la loro vita, e sembra che riescano a farlo con un relativo benessere. Solitamente erano molto amichevoli e in alcune occasioni siamo stati visitati da persone che ci hanno portato in dono del latte di cammello tiepido – in realtà era piuttosto buono! Mamma mia che posto…”

Ricordandoci che questo non è l’unico teatro di possibili arrampicate, le possibilità sono pressoché infinite; il massiccio del Guera, che presenta importanti inselberg con pareti alte fino a 300 metri di super granito è l’ultimo spot che aspetta la visita di mani di alpinisti sulle sue rocce.

Nel Sahara l’avventura esiste sempre e qui la passione della montagna ritrova il suo carattere primo, quello della scoperta; una scoperta che si colloca in un ambiente di natura potente e incontaminata, in cui la vita scorre secondo le regole “nomadi”. Il “viaggio verticale” nei deserti è reso unico dalla dimensione del “viaggio orizzontale”, si compenetrano a fondo e ne rendono difficile la distinzione. Oggi credo che arrampicare sulle montagne dei deserti stia diventando quasi di “moda”, perché tutto l’alpinismo , dal classico a quello delle performances estreme, sente il bisogno di un ritorno alle sorgenti, ad un etica “trad”, ad un rapporto diverso con la natura, in fondo teatro di qualsiasi performance. Il deserto del Ciad è tutto ciò.

 

Penso che il concetto di bello naturale sia difficilmente opinabile, forse il termine assoluto di questo concetto, il più bello, è più soggettivo perché si carica di componenti personali e affettive: ho scoperto questa parte di deserto da ventenne, studente di geografia, guida sahariana già con un buon bagaglio – ho iniziato a viaggiare nel deserto a due anni al seguito della mia famiglia – trovandomi protagonista di questa avventura; la possibilità di poter ancora esplorare, una sensazione d’incognito e ignoto, le soddisfazioni di una scoperta, la condivisione della vita nel deserto con chi più di ogni altro è capace in questo ambiente di strabilianti performances geografiche e fisiche per la conoscenza inusitata che ne ha; gli incontri ed esperienze uniche, l’aver viaggiato in lunghe spedizioni con il prof. Théodore Monod, il più grande esploratore sahariano del XX secolo, creano indubbiamente uno stato di affezione e un legame particolare. Ne sono cosciente, ma nonostante resto convinto che questo deserto sia il più bello proprio per la sua natura e le sue genti, per la vita che ne traspira. Vi invito a scoprirlo… e mi saprete dire.

 

0
Ennedi e Tibesti ultima modifica: 2014-11-24T07:30:42+01:00 da GognaBlog

2 pensieri su “Ennedi e Tibesti”

  1. 2

    Fa davvero venire voglia di partire . Complimenti a Rocco, ciao.

  2. 1
    Giovanna Zanatto says:

    Buongiorno, entusiasmate il vostro racconto, domanda: che difficoltà presenta il trekking sull’ Emi Koussi? Grazie

La lunghezza massima per i commenti è di 1500 caratteri.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.