Extradiario – 09 (9-24) – La parete del Monte Nona (AG 1966-005)
(dal mio diario, 1966. In corsivo, note odierne)
Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(2), disimpegno-entertainment(2)
(Dopo un’estate di arrampicata, a Genova contatto Giovanni Scabbia per concedermi una visitina alle grotte fattibili da gente che come noi non è attrezzata. Così il 29 agosto 1966 osiamo un tentativo al pozzo di O Buran (N. 14Li). Non ricordo più per quale motivo rimandiamo al giorno dopo, forse ci mancava qualche cordino. Così ci trasferiamo in breve alla Tann-a do Drago (N. 10Li), poi ancora alla Grotta superiore d’Iso (N. 119Li) e alla Grotta d’Iso-Dodici (N. 12Li). Di tutte ci limitiamo a percorrere la prima parte, praticamente quasi turistica.
Il giorno dopo torniamo alla voragine di O Buran. Nonostante l’ingresso fosse visibile e probabilmente noto ai locali da tempo immemorabile, la prima descrizione della grotta risale solamente al 1950, nella pubblicazione di Nino Sanfilippo sulla fauna ipogea del Genovesato, in cui ne compare anche il rilievo. C’erano poi stati Gianni Ribaldone e compagni nel 1961 per la revisione dei dati catastali. Leggo oggi di come in quel pozzo di 17 metri si sia sviluppata e perfezionata la tecnica di risalita su sola corda per la prima volta in Italia, intorno al 1972. Ma anche Giovanni e io siamo risaliti senza scaletta con l’ausilio dei soli nodi prusik… ed era il 1966!
A parte questo involontario primato, l’imbocco è un impressionante pozzo a cielo aperto con apertura ovoidale di circa 3×4 metri, che scampana dopo pochi metri in un ambiente assai più grande. Alla sommità del pozzo sono presenti alcune colonne stalattitiche di notevole lunghezza non più attive. La base del pozzo è costituita da una sala più o meno circolare con diametro di circa 7-8 metri, ingombra dì massi di crollo. Noi tralasciamo le due brevi gallerie che si dipartono dal fondo. NdA).
Il 4 settembre una gita escursionistica con Lorenzo Bonacini al Monte Lavagnola e alla Quota 1132 m precede l’ennesima (in realtà 24a) uscita alla Pietragrande con Vittorio Pescia (9 settembre). Poi, l’11 settembre 1966, è la volta della parete ovest-sud-ovest del Monte Nona, nelle Alpi Apuane, terza ripetizione, con Gianni Calcagno.
Già da tempo volevo cimentarmi con questa salita. Gianluigi ed Eugenio Vaccari, Piergiorgio Ravaioni e Piero Villaggio ci avevano lavorato tanto sopra, per attrezzarla: poi finalmente i due fratelli l’avevano terminata dal 21 al 23 maggio 1966. C’era stata subito la prima ripetizione, quella di Mario Verin e Giustino Crescimbeni, il 2 giugno. Il 10 settembre parto tardissimo da Genova con Gianni: arriviamo al rifugio Forte dei Marmi, proprio sotto alla parete, all’1.40, dopo una marcia notturna da Stazzema veramente tirata. Ci mettiamo a dormire svegliando tutti…
Sveglia alle 5.40. Al rifugio sanno già tutti che vogliamo fare “la parete”. E noi veniamo a sapere che due giorni fa c’è stata la 2a ripetizione, quella del custode del rifugio Gabriello Barsi e di Tullia Bertolini, il 9 settembre (prima femminile). Loro hanno impiegato una quindicina di ore.
Salutati da tutti (lì l’ambiente è davvero simpatico), partiamo. Ci leghiamo a 10 metri da terra e io parto per il primo tiro, che ha un passaggio di V. Poi va avanti Gianni e inizia l’artificiale, un chiodo via l’altro. Io poi lo raggiungo. La scalata assume un ritmo veloce, riparto io per il terzo tiro che, come il quarto, il quinto e il sesto, sono completamente in artificiale (A1 e AE). Così arriviamo sulla “cengia”. Da qui riparto io, dopo aver lasciato le firme sul foglio in un vasetto rosso. Vado su per un diedrino, dove occorre salire su un alberello non del tutto solido. Ma poi aggancio il primo chiodo e sono più tranquillo. Qualche metro di libera e arrivo alla sosta, incastrato tra la parete e un bel masso staccato. Gianni prosegue.
Qui l’artificiale è più difficile, ma proseguiamo bene. L’ultimo tiro, il nono, me lo faccio e così esco dalla parete, seguito poco dopo da Gianni. Abbiamo impiegato sette ore. E’ il record!
Il sole, il tanto temuto sole, compare ora. Abbiamo avuto caldo, ma senza il sole abbiamo evitato il peggio. A noi non è successo quello che invece è capitato ai primi salitori, che si sono dovuti fermare per il caldo estremo.
Per una cengetta erbosa usciamo a sinistra e per un gran canalone erboso andiamo verso la vetta, che raggiungiamo alle 15.30. Da lì scendiamo per erba a sud fino al Callare di Matanna; e da lì ancora, sotto un caldo soffocante, torniamo al rifugio. Lì complimenti, alpinisti che chiedono informazioni sulla parete, gente che ci loda. Oggi abbiamo dato notevole spettacolo.
Quando riusciamo a liberarci scendiamo verso Stazzema. E’ presto, ce la prendiamo comoda. Come pacifici turisti, scendiamo un pezzetto con la macchina, poi ci fermiamo a mangiare e a cambiarci. Sereni nell’animo, ci prepariamo alle code di La Spezia e di Nervi.
(Su questa ascensione scrissi dopo un po’ di tempo un articolo per il Bollettino della Sezione Ligure, nel quale isolavo alcuni momenti, mescolando la nostra ripetizione con la prima ascensione dei fratelli Vaccari, NdA).
Alpi Apuane: Monte Nona, via SUCAI
(pubblicato con qualche piccola variante su Rassegna Alpina n. 8, gen-feb 1969)
Il cordino
C’è chi l’ha paragonato alla catena di portatori nelle spedizioni extraeuropee; c’è chi l’ha aspramente criticato. Il fatto è che per queste salite il cordino è comodo se non necessario. Perché non dire che gli scalatori moderni hanno bisogno del cordino? Così, con questo atto di pretesa umiltà, si chiuderebbero le polemiche e si potrebbe stare più in pace.
Il cespuglio
– Piergiorgio, spostati bene in fuori, che ti faccio una foto… non così, più a sinistra… quella staffa, guarda che si veda… ecco, così va bene. Però, se non ci fosse quel cespuglietto sarebbe una foto fantastica!
D’altronde non si può pretendere: siamo a 900 metri sul mare, e qui le piante crescerebbero anche per aria! Ma se si considera questa parete come fine a se stessa e, senza paragonarla alle Dolomiti o ad altre zone, si arrampica su di essa senza pensare con rammarico di essere lì e non altrove, ci si rende conto che il famoso cespuglio non è altro che una caratteristica di questa parete, che le altre non hanno. L’erba, i cespugli, il paleo tenace sono peculiarità essenziali di queste zone, come la neve sulle Occidentali, come le stratificazioni in Dolomiti; e allora saliremo con più entusiasmo e con più amore queste rocce apuane.
L’apertura dell’articolo su Rassegna Alpina n. 8, gen-feb 1969. In parete sono Piergiorgio Ravaioni e Piero Villaggio.
I seggiolini
– Basta, questo è l’ultimo!!! – Dopo circa un quarto d’ora il chiodo a pressione, ultimo della serie odierna, è fissato e il compagno può salire.
Bivaccano sui seggiolini, così domani faranno più presto a continuare, non dovendo risalire il tratto già attrezzato finora. Non si starebbe poi male su questi seggiolini, se non fosse inverno e la notte non fosse così lunga. Intanto per ora è ancora giorno e bisogna fare i preparativi. Poi non c’è più niente da fare e si dà libero corso ai pensieri, mentre di sotto la pace della sera si distende per le colline verdi e sulla Versilia, e il mare luccica dell’ultimo sole. Le casette di Stazzema, lontane, hanno qualche finestra illuminata, e il suono distante delle campane sale fino lassù, assieme ai raggi del sole, che solo a quest’ora sono rossi. Tutto si vede e si sente dal seggiolino, anche le prime stelle e i deboli rumori pastorali. Ma lentamente tutto s’avvolge di scuro e gelide zaffate di vento notturno già smuovono i primi brividi. Dopo molte ore, incominciano ad agitarsi le foglie dei faggi e si avvertono tutti i discreti mormorii di quel fremito indistinto che precede l’alba. È anche l’ora più fredda e sono impazienti di proseguire, di muoversi: ma l’unico movimento consentito è un cauto agitarsi, tanto per cambiare posizione, proprio come si fa sotto le coperte. Tra poco dovrebbe arrivare la colazione.
La foto sul quotidiano Il Secolo XIX con il tracciato della via SUCAI
Il filo di fumo
È giorno fatto, ma di colazione neppure l’ombra; non solo ma non si vedono neppure quelli che l’avrebbero dovuta portare.
– Quei maledetti dormono sodo!!! – Infatti non si nota ancora nessun segno di vita nella casa-rifugio che è sotto la parete. Tutto tace. Eppure ormai la luce deve essere pur entrata dai vetri… – Francesco (Masetti)… Sandro (Balestri)… da mangiareeeee!!! – I gesti trapelano nervosismo. Ora hanno veramente freddo e fame, e cominciano già a inveire contro la squadra d’appoggio, minacciando sanguinosi propositi di vendetta. Finalmente, dopo mezzogiorno vedono che si alza un lieve fil di fumo dal comignolo della casa e una sagoma ancora goffamente assonnata fare la sua comparsa fuori della porta: alle urla isteriche di quelli dei seggiolini, l’ombra scappa dentro, dopo aver evidentemente guardato l’orologio. Dopo trenta minuti, con un grosso complesso di colpa, la colazione è attaccata al cordino…
Il perforatore
L’Eugenio sta forando; i pesanti colpi di martello stanno scavando a poco a poco il buchetto. Certo questo è un buon sfogo per la sua esuberante carica di vitalità. Non è dello stesso parere il chiodo che sta sopportando il peso e le vibrazioni della suddetta «carica di vitalità». Per cui si stacca, ma l’Eugenio non vola: con sua sorpresa si trova attaccato al perforatore con una mano sola… stendo un velo pietoso sulla scena.
I moschettoni
Stavolta è di scena il Gianluigi che, baldanzoso, attacca un brutto diedrino con alberetto alla base. All’alberello è attaccata una staffa; i suoi rami agganciano invece il cordino che tiene i moschettoni. Grande è il disappunto nel vedere alcuni di questi che volano verso il basso… altro velo pietoso.
Gianni Calcagno sulla seconda lunghezza
Caldo
Non siamo più d’inverno, siamo anzi alla fine di maggio alle tre del pomeriggio, in pieno sole, con una parete biancastra che riflette senza pietà tutto il calore che riceve. I corpi disidratati di Eugenio e Gianluigi rifiutano ogni ulteriore sforzo e così i due chinano la testa e definitivamente i glutei sui seggiolini, in attesa della notte liberatrice. Gli spettatori dal basso, muniti di cannocchiale, possono comodamente assistere allo spogliarello dei due che non sopportano più gli abiti. Adesso il cordino non c’è più. Quindi niente acqua o bibite varie. In compenso il mattino dopo non devono aspettare la colazione… e possono partire più rapidamente.
Alessandro Gogna sulla terza lunghezza
La gente
La parete è vinta, e la via è finita. Eugenio e Gianluigi sono già al rifugio, intenti a bere e a parlare, in un ambiente ormai familiare, con gente semplice, alla buona. C’è anche qualcuno venuto dal basso, ma non è domenica e quindi non c’è grande ressa. Si parla, si discute, si raccontano le impressioni più vive. Non si dice apertamente che è stata una grande fatica, perché non ce n’è bisogno. E’ bello ritornare tra la gente dopo simili salite. Si è stanchi, ma non abbrutiti, perché non si è lottato allo spasimo ai confini della vita, come si fa a volte o spesso su qualche parete mostruosa. E’ stata questa una gara di pazienza e di volontà durata più di due anni, un lavoro improbo senza la ricompensa di una gloriosa uscita in vetta tra gli elementi scatenati. E’ bello qualche volta giocare con le montagne.
Gianni Calcagno sulla sesta lunghezza
Glu-glu-glu
– Alessandro, posso venire?
– Glu-glu-glu…. E dopo un minuto: – Vieni pure!.
Mi son bevuto un litro di tè in un fiato, tanto nel sacco ce n’ho ancora un litro.
Guardo giù: gente dappertutto, alla casetta, che adesso è un rifugio del CAI, sotto la parete, alla base del Procinto. Siamo guardati, scrutati, vivisezionati dalle lenti. Però non ci danno fastidio: non è gente esperta, non sono grandi saccenti quelli che ci guardano; così non ci sentiamo giudicati, ma soltanto ammirati: e l’ammirazione genuina fa sempre piacere.
Gianni Calcagno sull’ottava lunghezza
Il tempo
Ma il destino di queste pareti accademiche è segnato: diventano terreno da competizioni, sono buon terreno per gli «sprinter». E così la via diventa di moda e la si percorre solo per fare un buon tempo in diretta o indiretta misura con le altre cordate. Anche noi non siamo esenti da questa mania; anche noi siamo a volte turbati dall’esasperazione di far presto, sempre più presto, di far bella figura… È triste pensarlo, ma può essere così. Per tutti è in po’ così! Ed è ancor più brutto pensare che si prova anche soddisfazione nel «bruciare» la via con un tempo straordinario.
Il gruppo del Procinto e del Monte Nona
La vetta
La via termina nei pendii erbosi che sono sotto la vetta. Per scendere non è necessario salire in cima, basta traversare a destra per erba. Propongo a Gianni di andare in vetta. E quando ci siamo, mi sorprendo a credere che questa non sia ipocrisia, bensì che il nostro alpinismo abbia le radici non bacate, non contaminate da quell’ansia competitiva che negli alpinisti è sempre stata, ma che si è sempre manifestata in maniera un po’ più pudica. E quando scendiamo per le facili terrazze erbose verso il Callare di Matanna, mi accorgo che sono più leggero di prima. E bello avere degli scrupoli.
Il 25 settembre venticinquesima uscita alla Pietragrande, con Alessandro Balestri, Giulio Costa e Gianni Bissoccoli. Con Sandro facciamo la Nord e lo Spigolo basso. Poi ci rivolgiamo alla parete ovest dove io vado in artificiale su un settore che non ho mai salito, facendo così la diretta: sei chiodi in artificiale + uno d’uscita in libera,
L’autunno è tempo di Rocca Castello in Valle Maira. Il 9 ottobre, tutti a Chiappera, davvero in forze: i due Vaccari, Franca Simondi, Giulio Costa, Gianni Bissoccoli, Roberto Sposetti e il mio amore segreto, Annabella Cabianca. Ma lì ci attende una grande delusione: pioggia, nebbia e pioggia. Torre Castello e Rocca Provenzale manco le vediamo. In compenso, lazzi e frizzi a non finire. E la giornata passa. Anche perché troviamo un masso strapiombante che riesco a salire in A2 e A3, uscendone bagnato fradicio. Il masso si trova sulla strada del Maurin, dopo i due ponti, sulla sinistra idrografica.
Privi di fantasia, il 21 ottobre con Alberto Santinelli (conosciuto a Vigo di Fassa l’anno scorso) per la 14a volta al Roccione di Cravasco; e il giorno dopo alla Pietragrande, una “baraccata” con i soliti “noti”, i due Calcagno, Gianluigi Vaccari, Roberto Titomanlio, cui si aggiungono Gianni Bissoccoli, Alberto Santinelli, Chicco De Bernardinis. Ci sono anche, udite, udite, due donne: Paola Parrini e Margherita Titta Zanini, quest’ultima veramente simpatica e brava!
Finalmente riusciamo a individuare un’altra “palestra” in Liguria, diversa dalle solite, la Rocca dell’Aia (o Becco dell’Avio): consigliati dai Vaccari e da Titomanlio, andiamo il 23 ottobre con Gianni Calcagno e Gianfranco Negro. Non ero mai stato a questo bel torrione di quarzite. Novanta metri di altezza è la parete nord. Ci sono già quattro vie, una di IV in camino, le altre di V+ e VI-. Di queste facciamo la via Yetina, fatta per la prima volta da Eugenio Vaccari e Roberto Titomanlio (Yeti era il soprannome di Eugenio, Yetina la sua allora fidanzata Franca Simondi, NdA). E’ la via più difficile, EDinf, bella con passaggi assai impegnativi. Inoltre facciamo i primi tre tiri di una via nuova, a destra della via Adele, proseguendo poi per quest’ultima perché ormai è notte. Il secondo tiro di questa via che abbiamo intenzione di battezzare via Scarason è tutto a cunei ed è veramente strano.
Giusto una settimana dopo, il 30 ottobre, torniamo, gli stessi tre. Gianfranco va da primo sulla prima lunghezza della via dei Camini, poi proseguo io sulla via della Fessura, che Gianni conclude. Siamo fuori in 100 minuti.
Mangiato, attacchiamo la via Adele e poi, arrivati alla seconda cengia, proseguiamo la via nuova. Vado io, chiodando come una mitragliatrice. Gianni segue e Gianfranco schioda. Esce a notte, con freddo cane e brutto tempo. La via Scarason è data TDsup, 90 metri: 15 chiodi, 5 cunei, 6 chiodi di sosta.
dopo anni di oblio, in cui le vecchie vie in artif. vengono completamente dimenticate e nessuno sale più il Nona. Ecco che la parete S.S.O. ritorna alla ribalta.
Il via lo danno nel 1990 Stefano Funck e Fabrizio Convalle, che nel settore sinistro della parete, (riferimento la lapide in ricordo di Giulio Allegri), calandosi dall’alto, attrezzano con il trapano una nuovo itinerario e lo chiamano FANTASTICA. Difficoltà fino al 7b obbligatorio 6b .
La nuova via ha subito successo , molti la ripetono e il Nona ritorna di moda. Ma la storia della parete da adesso in poi sarà tutta diversa.
Questa considerazione sulla presenza disturbatrice del cespuglio e del paleo (o palero) la tenace erba apuana, è molto interessante.
Interessante perchè sulle pareti Apuane, vista la bassa quota c’è l’erba, dove più dove meno. Molti si lamentano di questo. Si lamentano perchè disturba l’arrampicata, e perchè toglierebbe estetetica all’arrampicata e alle foto. A parte che su certi itinerari, evviva che c’è il palero.
Così molte delle vie, subito dopo l’apertura e poi anche successivamente, vengono ripulite dai ciuffi d’erba, dagli alberelli e cespugli vari. A proposito di questo, trovo che la riflessione di Alessandro, sul fatto che questi elementi definiti disturbatori dagli arrampicatori, invece dovrebbero essere rispettati perchè tipicamente caratteristici.
Non dico che non dovrebbe essere pulito un appiglio dalla terra o dall’erba. Ma pulizie radicali, sopratutto sulle grandi pareti, sulle vie lunghe ed alpinistiche, dovrebbero essere evitate. Perchè appunto come scrive Alessandro, caratterizzanti di quel luogo, di quella parete, perchè magari sono solamente li.
Una via d’uscita dall’ossessione del cronometro… bello!
Fabio, senza dubbio!!
Mi ricordo che quella sera al rifugio, io e Giancarlo camminavamo un metro da terra. Avere fatto il Nona, sembrerà assurdo e roba da vecchi caiani, ma allora e per il nostro alpinismo provinciale, era tanta roba.
Insomma, avevamo mosso la classifica….
Poi ci sono ritornato altre volte , di cui due volte anche in solitaria.
Un altra volta d’inverno, sempre sulla via Licia, fu una vera avventura. Il facile tiro della cengia, dove la Licia tocca la SUCAI, era tutto completamente ricoperto di ghiaccio . Non fu facile venirne fuori. Con il martello toccò fare pulizia metro metro. Non mancò qualche voletto. Dal bordo della parete penzolavano grosse stallattiti di ghiaccio che colpite dai raggi del sole si staccavano. Con un rumore sinistro si andavano a schiantare sul sentiero. Uscimmo a notte fonda belli inzuppati.
Il Monte Nona vale una sgridata.
la prima volta che ho fatto la parete del NONA , tanti anni fa, è stato lunga la via Licia che corre subito a destra della SUCAI e l’ho salita assieme a Giacarlo Polacci.
Con Giancarlo eravamo entrati da poco, come aiutoistruttori nella scuola di alpinismo Monteforato di Querceta e nel tardo pomeriggio avevamo appuntamento con il corso al rifugio Forte dei Marmi .
Ingenuamente convinti di essere superveloci e quindi di arrivare in tempo all’appuntamento, abbiamo attaccato la via sicuri di uscire presto.
Siamo stati veloci ma non abbastanza per arrivare in orario all’appuntamento. Così quando arriviamo a rifugio, già pensiamo ai rimproveri che ci prenderemo dal direttore del corso e alle scuse da inventare.
Ma l’importante è avere fatto il Nona…!
Infatti: ” è questa l’ora di arrivare? Noi qui a lavorare e voi sul Nona. Avete fatto la Licia….mmm bravi”.
c’è stato un tempo, in cui la parete del Nona era ambita. “Avete fatto il Nona…?!?!!
Poi l’artificiale è passato di moda e le vie in artificiale del Nona dimenticate.
Oggi le vie in artif. del Nona vengono raramente ripetute. Molti non sanno nemmeno che ci sono queste vie.
Il Nona però è ritornato in auge. Le vie che vengono salite però sono di ben altro genere.
Si è vero le vie del Nona venivano ripetute facendo gara tra le cordate a chi ci metteva di meno. Si correva sul Nona.
La SUCAI o come meglio conosciuta, la VACCARI , nel suo genere secondo me, è la più bella via in artif. del Nona, perchè nonostante la chiodatura a pressione, è quella che meglio si adatta alle strutture rocciose.