Falesie di arrampicata: Aree Clean

Così come esiste la divisione tra arrampicata sportiva e arrampicata trad, allo stesso modo dovrebbero esistere zone dedicate all’una e all’altra disciplina: oggi invece accade che lo spit sia imperante quasi ovunque nelle falesie italiane. Io aggiungerei che anche i centri di arrampicata indoor, per essere davvero evoluti e al passo con i tempi più moderni, dovrebbero dotarsi di aree in cui gli scalatori possano mettere loro stessi le loro protezioni.

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Come nacque la prima area clean (no bolting zone)

Ai primissimi anni del nuovo secolo, in occasione della redazione della quarta edizione della sua guida di arrampicata sportiva della Sardegna Pietra di Luna, l’accademico Maurizio Oviglia ebbe modo di confrontarsi (dapprima in modo piuttosto burrascoso) con alcuni scalatori sassaresi al riguardo di una falesia da lui chiodata a Santa Teresa di Gallura. Solo la discussione con Marco Marrosu e Lorenzo Castaldi di Sassari si è avviata a toni costruttivi, tanto che alla fine i tre personaggi coinvolti si ripromisero di trovare un accordo per la salvaguardia delle vie tradizionali in Gallura (di cui lo stesso Marrosu e Castaldi, in cordata spesso con Alessandro Gogna, erano gli autori).

Prima dell’uscita della guida (2002) giunsero quindi a un accordo scrivendo a chiare lettere nelle prime pagine del libro (con tanto di cartina) che in tutto il nord Sardegna, e nella fattispecie la zona nota geograficamente come Gallura, le vie spittate non erano gradite e che anzi, qualora ne fossero state aperte, esse avrebbero potuto essere oggetto di schiodatura.

Ma lasciamo parlare Oviglia: “Di fatto si trattava della prima proposta di Area clean (no bolting zone) in Italia e questo accordo, di fatto deciso solo a tre, fu in linea di massima rispettato, se si eccettuano alcune vie a spit (ormai corrosi) aperte a Capo Testa da Sandro Zilioli di Brescia, una via sul Monte Pulchiana aperta da scalatori di Lecco e una sulle torri di San Pantaleo aperta da un Istruttore CAI di Firenze. Posso dire che, considerate le premesse, è stato un successo forse anche, direte voi, dovuto al fatto che la roccia della Gallura non è particolarmente adatta all’arrampicata sportiva. Ma la Gallura è grande come metà Piemonte ed è un territorio pieno di roccia!”.

E’ possibile dichiarare “clean” altre zone?
Il prossimo anno 2014 uscirà la nuova edizione di Pietra di Luna dedicata alle vie lunghe e, per la prima volta dopo la guida CAI-TCI Sardegna (1997), vi saranno incluse un buon numero di vie tradizionali. Mentre Marco Marrosu è sempre attivo e agguerrito in questo senso, purtroppo Lorenzo Castaldi ha perso la vita per una scarica di ghiaccio sulla parete nord del Gran Zebrù. In Sardegna sono dunque rimasti in due (contro tutti?) a difendere questa idea?
Come si può facilmente immaginare in dodici anni sono emersi nuovi interessi e problematiche. Molti agriturismi e comuni in tutta Italia vedono di buon occhio l’attrezzatura di vie spittate e spesso sono sollecitati da personaggi di dubbio spessore alpinistico e culturale che sperano di trarne qualche utile economico. Vengono anche realizzate vie ferrate, spesso senza chiedere preventivamente parere a nessuno, e nemmeno a norma, in zone ad alto interesse ambientale.

Non deve essere un “muro contro muro”
“E’ giusto pensare che l’eventuale allargamento di zone clean o le nuove “nomine” d’ora in poi, per una questione di metodo e strategia, passino attraverso un processo di discussione e confronto piuttosto che attraverso una guerra di religione che, portando al muro contro muro, avrebbe effetti controproducenti” dice Giacomo Stefani, presidente del Club Alpino Accademico Italiano, da sempre favorevole al mantenimento di aree nelle quali sia possibile un’arrampicata “trad” (vedi organizzazione di due edizioni del Trad meeting in Valle dell’Orco). In effetti il CAAI si è sempre battuto contro il proliferare delle spittature selvagge e richiodature delle vie storiche (vedi documento della Presolana del 1999 e convegno del Passo Pordoi del 2007).

Occorre dunque cercare alleati, occorre che sempre più praticanti e appassionati condividano questa idea, prima di procedere ad altri “blitz”.
Sicuramente schierata pro le aree clean sarà l’Associazione Mountain Wilderness, ideatrice del concorso Clean Climbing appena concluso.

Il triste esempio di Salinella
Ricordiamoci che è più facile preservare che ripristinare.
Nell’ottobre 2011, in occasione del Climbing Festival di San Vito lo Capo,  avevo pregato pubblicamente di schiodare sei o sette monotiri che ai primi degli anni ’80 i Sassisti di Sondrio avevano aperto con scalata tradizionale a Salinella, la falesia più vicina e più comoda del comprensorio di San Vito. Di questi bellissimi monotiri c’era traccia storica nel mio libro Mezzogiorno di Pietra, che chiunque abbia scalato nel Sud Italia e nelle isole almeno ha sentito nominare. Responsabili dell’imponente lavoro di chiodatura a Salinella erano stati i fratelli inglesi Jim e Scott Titt, assieme agli austriaci Joseph Gstottenmair e Karsten Oelze e al catanese Daniele Arena: duecento le vie spittate.

Nessuno capì neppure cosa stavo dicendo. Ripetevo: “cosa possono importare 6-7 lunghezze su 200? Che danno possono avere i chiodatori, o gli utenti assatanati di spit, o ancora un’amministrazione comunale magari assetata di sempre più ingenti quantità di roccia arrampicabile in modo sportivo?”. Chiedevo semplicemente un po’ di rispetto della storia… perché neppure i nomi originali avevano conservato, proprio con l’intento di cancellare ogni traccia, di banalizzare. Ebbene, la proposta è stata accolta con sorrisetti sia dagli inglesi che dai siciliani, e le vie in questione sono ancora là, banalizzate.
Dunque il ripristino è assai improbabile, e in ogni caso un’azione di schiodatura non sarebbe certo condivisa.

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Come procedere dunque?

Un ristretto comitato potrebbe stilare una carta delle zone in cui potrebbe essere vietato o limitato l’uso degli spit. Nel limite del possibile occorrerebbe anche l’appoggio delle istituzioni.

Oviglia (per la Sardegna): “Stabilire delle aree clean dove è totalmente proibita l’infissione di spit (ad esempio la recente area trad dedicata al clean climbing da me valorizzata sulla costa SW della Sardegna, in località Capo Pecora, che ha già catturato l’immaginazione e i favori di moltissimi climber europei… o altre aree della Gallura ad altra concentrazione di vie tradizionali o protette); poi altre aree in cui è proibito spittare nelle fessure, compresi i camini, e se si usano spit si deve farlo in modo parsimonioso e in apertura dal basso; e infine altre zone, chiaramente più estese, dove vige l’assoluto rispetto delle vie classiche esistenti. Una di queste potrebbe (dovrebbe) essere il Supramonte intero. Come è noto alcune vie classiche sono state spittate (Surtana, Lanaitto, Gonone) ma ora sta succedendo anche su vie che hanno fatto la storia dell’arrampicata italiana (ad esempio Tempo Reale di Marco Bernardi). E questo è veramente un grosso danno”.

Proviamo a spingere nelle zone dove l’arrampicata sportiva è in ritardo!

E poi comunicare, dibattere. L’esempio del Trad in Valle dell’Orco, le bellissime vie trad di Cadarese (Val Formazza), l’intero e splendido castello delle grandi vie dolomitiche dovrebbero essere testimonianza di un nuovo modo di pensare che affonda le radici nella tradizione. Maurizio Oviglia ricorda: “quando pubblicai la prima falesia clean sulla Rivista della Montagna nel 2001, Roberto Mantovani ricevette diverse lettere che mi accusavano di istigare i giovani al suicidio. Oggi però le cose stanno cambiando, c’è forse maggior rispetto, almeno la consapevolezza da parte degli sportivi di non essere gli unici ad avere diritti sulle rocce!.

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Falesie di arrampicata: Aree Clean ultima modifica: 2014-01-12T09:51:46+01:00 da GognaBlog

1 commento su “Falesie di arrampicata: Aree Clean”

  1. 1
    gigi zucchi says:

    nel mio piccolo, dopo tanti anni di alpinismo e arrampicata, mai piantato uno spit, alla rispettabile eta’ di 53 anni ho iniziato ad attrezzare una falesia (non ancora finita) in Friuli, in Carnia. Sul posto era presente una vecchia via degli anni 70 di De Infanti & De Crignis. Ho contattato gli interessati, ed ho chiesto il loro parere. Ho proposto due soluzioni, una pulire e lasciar tutto com’e’ (al limite riattrezzare le sole soste), l’altra riattrezzare tutto. Ho fatto come mi hanno detto loro di fare. Forse anche questo e’ un possibile approccio ?

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