Il limite di Messner

Sono recentemente incappato in questo articolo apparso su La Repubblica di trenta anni fa, scritto da Walter Bonatti in occasione di una storica impresa di Reinhold Messner, quella di essere diventato (con la salita del Lhotse, effettuata pochi giorni prima) il primo uomo ad aver salito tutti e quattordici gli Ottomila (tra l’altro senza ossigeno). Divisi da una mezza generazione di tempo, i due non sono paragonabili per definizione. A volte però, se siamo direttamente interessati, facciamo fatica a capirlo.

Mi sfugge il perché, ma a suo tempo salutai con grande piacere che tra questi due grandi dell’alpinismo mondiale fosse cominciato finalmente a scorrere buon affiatamento, sia privato che pubblico, fino alla scomparsa di Walter, fino al libro che in seguito gli ha dedicato Reinhold (Il fratello che non sapevo di avere).

Proprio considerati gli sviluppi che ci sono poi stati nei rapporti tra di loro, l’articolo merita ampiamente una rilettura. E’ sempre curioso osservare come le opinioni, alla fine, possano sempre cambiare, come le antipatie possano diventare simpatie, come le invidie possano sublimare. Insomma è curioso vedere come siamo fatti strani. AG

Il limite di Messner
di Walter Bonatti
(da La Repubblica, 16 novembre 1986)

A buon diritto Reinhold Messner è considerato attualmente lo scalatore più completo e detiene i più importanti primati oggi raggiungibili sulla catena himalayana. I suoi successi sono fuori discussione, basta elencarli per capirne il valore: primo uomo a scalare in solitario un ottomila metri (Nanga Parbat 1978), primo a scalare l’Everest senza bombole d’ossigeno (1978), primo a salire in solitario lo stesso Everest (1980), cosa di ieri è il completamento della scalata di tutti i 14 ottomila della Terra e anche qui il primo a riuscirci è stato Messner. Siamo dunque di fronte a un alpinista straordinario e sebbene il suo ultimo atto, l’ascesa al Lhotse, non costituisca il pezzo migliore della collezione – in rapporto ai limiti attuali oggi è il polacco Jerzy Kukuczka a realizzare vere imprese himalayane, e autentica impresa sarebbe stata anche la recente e quasi riuscita solitaria sul K2 da parte dello scomparso Renato Casarotto – si deve convenire tuttavia che l’aver portato a termine la scalata dei 14 ottomila rappresenta nella sua globalità senz’altro un bel primato, che tutti applaudiamo.

Ma questa cosa poteva essere anche più bella e significativa, e ci avrebbe anche più convinti, se intorno a Messner non ci fosse sempre quel grande business di sponsor e pubblicità che sappiamo. Noblesse oblige era lo stile di una volta, oggi invece pare soltanto il tempo degli slogan personalizzati. “Grazie a Messner vivremo più a lungo” afferma uno di questi messaggi abbinati a un lancio pubblicitario, e intanto l’immagine del nostro eroe, da anni ormai, non appare che accoppiata a un qualche prodotto messo in commercio. Ecco un altro dei suoi primati. A parlare di lui c’è persino il rischio di mettere le proprie parole al servizio di chi usa la notizia come veicolo pubblicitario traendone un tornaconto. Se qui si parla di Messner e non di altri è soltanto perché Messner più di tutti è un riferimento, un esempio idealizzato; in lui avevamo fidato e oggi ci sentiamo delusi.

La gente ha bisogno di miti, ma questi non restano sempre all’altezza del loro piedestallo. Naturalmente non gli rimproveriamo le proprie scelte, ci mancherebbe altro, ognuno giustamente può fare di sé ciò che vuole anche a costo di dispiacere qualche volta ad altri, indispone però il fatto che egli non perda occasione per mostrarsi, o sono gli altri a mostrarlo, un puro e un idealista.

Ebbene sì, qui ci sentiamo anche presi in giro. Pure Niki Lauda è stato un grosso affare pubblicitario, ma ha avuto almeno il buon gusto di non proporsi, o di non lasciarsi proporre, al pubblico in modo diverso da quello che è, nessuno infatti rimane deluso che Lauda non sia uno spiritualista. Vorrei chiarire anche un’altra cosa che viene spesso equivocata e che mi riguarda da vicino. A differenza di molti anni fa, la maniera di Messner di realizzare un sogno oggi è completamente diversa dalla mia, e diverso a me sembra anche il costume come modo di vivere, che alla fin fine distingue l’idealista dall’interessato.

E lasciamo stare la bella trovata che “tutti ci vendiamo”, che tutto può essere giustificato da una professione, o dalla necessità di raccogliere fondi per realizzare un’impresa. Certo, il proprio ingegno dovrebbe dare sì un’adeguata resa, ma in quali limiti stanno questo ingegno, la professione, il costo di un’impresa? Impresa magari da farsi in “stile alpino”.

E qui sorge la stridente nota della sponsorizzazione, un fenomeno tipico dei nostri giorni, dilagante e spesso indiscriminato ma al tempo stesso indiscriminabile, almeno nel settore montagna e in quello dell’avventura in generale. E’ un negozio, per dirla in breve, ma che ha in sé grosse responsabilità e finisce per diventare appunto un affare per qualcuno e per altri una specie di coercizione, tacita magari.

Ecco dunque una schiera di “favoriti”, candidi a volte ma anche un po’ scarsi di princìpi; eccoli corrompersi riducendo se stessi a portatori di pubblicità dopo essersi venduti alla medesima. Per quel deforme senso di difesa che vede l’uomo già in difetto spingersi fino all’autoinganno, il “beneficiato” dallo sponsor, pur vistosamente ridotto a immagine di un marchio di fabbrica, dice tuttavia di essere un uomo indipendente, libero di fare e decidere come vuole. Di fatto però egli dovrà anzitutto provvedere a rendere allo sponsor quel servizio che già gli è stato, o gli sarà, pagato. Per non dire che persino il suo mangiare, o il suo vestire, o entrambe le cose e altro ancora saranno soddisfatte soltanto scegliendo fra le etichette di quei prodotti che gli sono stati “regalati”.

Se poi la fortuna non dovesse assisterlo e venisse anche parzialmente a mancare la riuscita di quanto si era proposto di fare, ebbene qui allora potrebbe prodursi un risvolto della faccenda che è anche peggiore dell’essersi venduto. Il dover ricorrere per esempio a una qualche forzatura, sia fisica che narrativa, nello stendere le relazioni, senza escludere poi un certo rischio per l’incolumità, che a questo punto si può essere indotti a correre per non compromettere l’atteso compenso.

Va da sé che tutto questo non costituisce certo la migliore condizione per garantire purezza e idealità al proprio operato, e penso che neppure sia il caso di poter qui parlare di libertà d’azione nelle proprie scelte.

Depennata la vecchia Himalaya nella scala dei record d’avanguardia, torniamo sulle Alpi, dove da qualche anno prende forma e sviluppo un genere di nuovi primati. Un accenno dunque, non merita di più, alle odierne performances che vedono i loro protagonisti – veri acrobati professionisti a tempo pieno – impegnarsi tra loro in funamboliche competizioni da palestra, oppure lanciarsi all’inseguimento verso record di velocità sulle grandi storiche pareti. Addomesticate, naturalmente, dunque dai segreti tutti svelati, anzi ormai inesistenti. Questo dopo essersi svincolati completamente da tutto ciò che loro stessi definiscono: “I tabù della tradizione”.

Proprio oggi, che il culto dell’avventura è tale da indurre la gente a comprarsela preconfezionata, è ancora più curioso constatare come si possa arrivare a considerare l’avventura, ma quella autentica, come un tabù da abbattere, e contemporaneamente a elevare al grado di vicenda singolare e inaspettata una serie di atti sterili e scontati che proprio non potrebbero mai essere avventurosi. Ma l’avventura, in quanto tale, non risiede forse là dove c’è l’ignoto, la sorpresa? Là dove si possono manifestare peculiarità come l’incertezza, l’esaltazione, la precarietà, il coraggio, la solitudine, l’isolamento, il senso della ricerca e della scoperta, dell’impossibile, il gusto dell’improvvisazione, del mettersi alla prova con i propri mezzi, e via dicendo e che sono poi tutte cose ormai pressoché cancellate nel quotidiano? Là infine dove l’impegno coinvolge tutto l’essere e sa cavar fuori dagli impoveriti recessi ciò che di meglio, e di umano, è rimasto ancora in noi?

Non è forse vero che è proprio là dove il “mazzo” non è stato truccato per vincere ad ogni costo che esistono ancora il vero gioco, la sorpresa, la fantasia, il valore della riuscita, o il peso della sconfitta: dunque l’avventura? Ecco perché l’alpinismo tradizionale si è dato delle regole, ma sono proprio queste regole che nella pratica della montagna permettono sicuramente e onestamente di avere di sé un riferimento valido, una misura reale e costante per confrontarsi e conoscersi. Questo è in conclusione il fine che conta, tutto il resto, anche se suggestivo, non è che un mezzo.

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Il limite di Messner ultima modifica: 2017-03-02T05:36:59+01:00 da GognaBlog

42 pensieri su “Il limite di Messner”

  1. 42
    paolo panzeri says:

    Io valuto un alpinista da ciò che so che ha fatto e da come so che l’ha fatto.

    Se non so non parlo per sentito dire.

    Poi per me valutare anche che uomo sia è più importante.

    Penso che le chiacchiere di solito siano degli specchi per vanità, invidie e frustrazioni e molti scrittori e giornalisti ne soffrono, ma anche molti che si sentono alpinisti più son brocchi più ne soffrono, magari senza accorgersi.

    Ultimamente secondo me la storia è quasi sempre scritta da questi.

  2. 41
    Alberto Cecchetto says:

    Mi piace riportare quanto detto dal mio amico Armando Aste ( Grande uomo prima che alpinista https://www.armandoaste.it/spedizioni.html ) dopo la vittoriosa prima ascensione all’Eiger, agosto 1962, della cordata italiana di cui era uno dei protagonisti.
    “Per questa prima ascensione italiana alla Nord dell’Orco molti hanno ironizzato, qualcuno ha inteso anche offendere. Dei pigmei non mi curo. Fra i sedicenti “grandi” a qualcuno al quale il mio nome sembra bruciare le labbra ed a tutti i “colleghi” dico di guardare bene, ma proprio bene, loro stessi.
    Forse allora nessuno avrà più nulla da dire.
    Dopo tutti i commenti cattivi e invidiosi e il poco cordiale ambiente locale, tornammo a casa felici e contenti. Avevamo superato la famigerata Parete, altro che “gita sociale” come malignò Bonatti! Ma voglio ricordare che con me nessuno si é mai fatto male, neanche la più piccola scalfittura.
    Questa è la mia risposta a tutte le cattiverie che sono seguite.”

  3. 40
    Antonella says:

    @Alberto Benassi : un “vero” professore avrebbe scritto: quanta ignoranza COLGO leggendo questi interventi. Scritto così l’ignoranza sembra la sua ?
    E in più,mi ripeto, se uno ha la fortuna e l’esperienza di conoscere più dati e poter meglio interpretare i fatti degli altri dovrebbe avere anche A MAGGIOR RAGIONE l’umiltà e la modestia di renderne edotti anche gli altri . Non bollarli lapidariamente come ignoranti esseri inferiori indegni del confronto con Lui.

  4. 39
    Alberto Benassi says:

    Speriamo che il PROFESSOR Furlani faccia dono di un pò della sua “conoscenza” e risollevare questa massa di ignoranti.

  5. 38
    Antonella says:

    Quanta “saccenza” leggendo questo intervento . Un grande saggio e pensatore soleva affermare : Io so una sola cosa , quella di non sapere niente. Questa è l’umiltà che nasce dal sapere , rendendosi appunto conto di quanto ogni singolo sapere sia limitato e rimandi ad altre conoscenze ed altre ancora . Io la penso così, ed anche nei campi ( non certo la storia dell’alpinismo) in cui sono più ferrata, ho sempre il dubbio della mia comunque limitatezza del mio sapere…Più sai più ti accorgi di non sapere tutto ..Quindi non mi arrocco a depositario di nessuna verità assoluta. E l’ho più volte ripetuto nei miei interventi. Inoltre e d’altra parte il discutere e il confronto serve proprio ad arricchimento di dati da valutare e su cui farsi poi opinioni proprie . Non ho conosciuto Bonatti , nemmeno da anziano ho avuto l’occasione di incontrarlo, e questo è sicuramente è un grande limite nel poter avvicinarsi alla ” verità” . Ma poi, in fondo, esiste una verità assoluta ? O non è comunque tutto relativo dato che le idee personali di ognuno di noi son frutto, più che di fattori “oggettivi”, di deduzioni e induzioni e proiezioni basate più sul modo soggettivo di sentire,( che dipende dalle proprie , uniche esperienze personali di vita), che su quello altrui, impossibile da cogliere fino in fondo. E ancora, forse nemmeno lui conosceva del tutto le proprie motivazioni più profonde e inconsce, come del resto ognuno di noi. Stando a tutti questi numerosi elementi soggettivi, oggettivi e inconfutabili della limitatezza e relatività del sapere ( un po’ meno quello riguardante le cosiddette scienze esatte) RIMANE comunque in fondo una possibilità: quella di farsi sempre e comunque opinioni analitiche soggettive , cioè interpretazioni sulla realtà che ci circonda , umana e sociale. Mi baso su poche conoscenze dirette , in questo caso, ma tante letture e il mio spontaneo cercare di capire ( magari appunto usando per forza di cose parametri soggettivi, proiezioni personali ) le motivazioni dei comportamenti e delle scelte di Bonatti, come degli altri in generale, e di me stessa. Ma infatti ho più volte sottolineato : Sono mie impressioni, non verità assolute , senza dare dell’ignorante a nessuno, che tutti lo siamo, ma proprio con il confrontarsi possiamo arricchire e magari anche modificare perché no , le nostre impressioni. In ogni caso non era sottesa alcuna critica nella mia interpretazione: le esperienze pesanti e negative subite in certo mondo alpinistico ufficiale a chiunque avrebbero fatto scattare molle emotive ben oltre la sete di avventura iniziale.

  6. 37
    Marco Furlani says:

    Quanta ingnoranza leggendo questi interventi

  7. 36
    Antonella says:

    @Alberto Benassi Credo anch’io che inizialmente, e anche in seguito, Bonatti sia stato innanzitutto innamorato del Bianco ( e chi non lo è, già a prima vista ?? ) …D’ altra parte certe grandi e pericolose prime ascensioni non le si potrebbe fare solo per spirito di competizione, credo, non almeno in quel periodo storico. Amore per la montagna, per l’avventura, e spirito di competizione sono un cocktail vincente , i cui elementi sono strutturati in quantità e quindi qualità differente a seconda della storia personale, del carattere, della personalità di ognuno di noi, grande alpinisti compresi. L’impressione che in Bonatti sia ad un certo punto divenuta quasi prevalente la componente del primeggiare, della rivalsa, non è in me basata solo sul fatto che abbia insistito solo nel Bianco, o che si sia esaurita molto giovane la vena alpinistica ( anche i Desmaison, altri della sua generazione hanno rischiato la pelle senza però smettere, anzi semmai morendovi in montagna) , ma su tante piccole diverse sensazioni che ho ricevuto leggendo i suoi libri. Ma sono mie impressioni
    @Vigetti Sono d’accordo sul fatto che, a seconda dei vari momenti storici, ci siano, eccome, personaggi considerati intoccabili dalle istituzioni alpinistiche di base ( CAI o guide alpine che siano ) e personaggi al contrario sottostimati se non addirittura stigmatizzati negativamente, salvo riabilitazione postuma. E qui gli esempi si sprecano , ma sicuramente ciascuno conosce da vicino almeno uno di questi casi , su cui vige una sorta di riserbo del tipo: non vedo non sento non parlo, negli ambienti coinvolti e interessati .

  8. 35
    Alberto Benassi says:

    @Antonella, non credo sia giusto fare un confronto tra tre alpinisti (Bonatti-Casarotto-Grassi) che sono stati grandi e maestri nelle loro rispettive epoche.
    Ognuno do loro si è espresso in base alle loro personalità e modo di interpretare l’alpinismo, l’avventura, la montagna.
    E non per ultimo, le possibilità che c’erano e che sopratutto di potevano leggere, o che si era capaci di leggere, ed interpretare nelle rispettive epoche.
    Quella di un Bonatti non è quella di Casarotto o di Grassi.
    Bonatti si è espresso sopratutto nel gruppo del Bianco. Perchè era una montagna ch gli poteva garantire un grande prestigio?
    Può darsi, non lo so.
    Ma credo anche che per Bonatti il monte Bianco, ed in generale la montagna di tipo occidentale, fosse congeniale: tecnicamente, fisicamente e mentalmente.
    Non ha salito qui tutte le vie? Certo, mica era il solo gallo nel pollaio. Gente come Desmaison, Couzy, Magnone, Paragot, Rebuffat, Bonington , Whillans, ect. ect. non stavano mica a guardare. Mica erano delle serie B.
    Ha salito solo cime prestigiose?
    La est del Capucin era un problema, e l’ha risolto. Il pilastro sud-ovest del Dru era un problema e l’ha risolto. Il pilastro Rosso del Brouillard era li bellissimo e vergine, e l’ha risolto.
    Qui senza dubbio la scelta di farlo in solitaria è stata influenzata da una certa forma di rivalsa.
    Il Pilier D’Angle non l’aveva preso in considerazione nessuno eppure era li davanti agli occhi di tutti , e ci ha aperto tre vie nuove. Con caratteristiche diverse: una di roccia, una di misto, l’altra di ghiaccio.
    La est del Mont Maudit, a destra della Creitier, non mi sembra una parete di grande prestigio per quei tempi . Ma era un problema e anche li c’è una sua via.
    E la via Giannina ? Sempre sul Maudit quanti la conoscono? E’ uno sperone secondario ma ha una bella e logica linea.
    E lo sperone Whymper ? Al di là del suo valore tecnico ha rappresentato per lui lasciare la sua firma su una parete, su un acima che senza dubbio riflette le sue caratteristiche di essere alpinista. Una parete dove sono concentrate tutte le caratteristiche dell’alpinismo classico: roccia, ghiaccio, misto, esposizione nord, lunghezza, avventura.
    Stessa cosa ha infatti fatto Desmaison e molti altri dopo.
    Io non credo che Bonatti abbia scelto il monte Bianco solamente per il solo prestigio che questa montagna gli poteva garantire.
    Sono convinto che del monte Bianco, per il tipo di montagna che rappresentava, per il tipo di alpinismo che ci si poteva praticare, Bonatti ne fosse invece innamorato.
    Infatti descrive il Monte Bianco come un padre, a volte severo (molto severo) a volte gentile e sorridente, a cui ritornare.

  9. 34
    Antonella says:

    @Alberto Benassi il tuo ragionamento non fa una piega , sappiamo tutti che c’è sempre anche ( ma NON soprattutto ) una certa componente di autostima, prestigio, ecc ..Ma, rispetto al mio ragionamento hai estrapolato una frase che appunto, da sola, non rende il concetto che intendevo esprimere…Dicevo infatti : il suo ( di Bonatti ) desiderio di scalare l”impossibile, primeggiare pressoché esclusivamente sulle montagne di massimo prestigio, per rivalsa rispetto alle incomprensioni vere e presunte subite, per dimostrare a tutti di essere in realtà lui il migliore.
    Nemmeno nel gruppo del Bianco non ha cercato tutte le vie e prime possibili ( per non parlare poi del resto delle Alpi ) ma solo quelle più famose e apportatrici di prestigio: Questo elemento, unito alla prematura fine dell’attività alpinistica vera e propria mi danno appunto da pensare che in lui , dopo vicende del K2 e altre , abbia prevalso lo spirito di rivalsa e di primeggiare sul bisogno d’avventura, sulla ricerca dell’ignoto, della montagna “interiore”
    Casarotto invece secondo me è proprio il classico esempio diametralmente opposto, avendo cercato l’avventura, la scoperta di vie e pareti anche sconosciute o comunque meno conosciute delle classiche del Bianco,e anche in sordina ( come anche Grassi ad esempio) ) . Tant’è che l’enorme mole della loro attività in montagna è tuttora poco conosciuta e in parte sottostimata ! E non credo perché si tratti di due figure alpinisticamente inferiori a lui, ma senz’altro più umili , alla ricerca dell’ ignoto dentro di sé e sulle pareti , in primis .
    Mie considerazioni personali che non pretendono di arroccarsi a verità assolute, ovviamente. ?

  10. 33
    marco vegetti says:

    Caro Alberto,
    non dico che il suo alpinismo è privo di passione: lo stile di comunicare lo trovo così.
    Ma come dicevo, a me personalmente, comunica più passione uno scritto che abbia anche dell’allegria, della leggerezza, dell’autoironia. In fondo, a ben vedere e per come la penso io, l’alpinismo è fondamentalmente e in generale una attività ludica, un modo (anche pericoloso certo) di vivere “a lato” della vita reale, lontano dalla quotidianità stressante. Impossibile, credo, che non ci sia anche una componente di divertimento, oltre al pathos e alla tragedia. Altrimenti, e continuo a ribadire che è una mia opinione, può diventare o una ossessionata ricerca del limite o o una forma di “castigo” o una forma di “superomismo” o una forma di “isolazionismo” dal mondo e dagli uomini.
    Cose che, dicevo, non trovi nella letteratura alpinistica anglosassone. Io credo, e non penso di essere solo in questo, che c’entri molto il cattolicesimo e la sua influenza sulla nostra Italia (almeno fino agli anni della “contestazione” e, nel campo alpinistico, del “nuovo mattino”).
    PS – Ho buoni avvocati, Alberto… 😀

  11. 32
    Alberto Benassi says:

    @Antonella
    “ossia lo scalare per primeggiare nei luoghi più impossibili per DIMOSTRARE a tutti di essere lui il migliore…”
    Come dire che tutti coloro che hanno fatto delle prime (Bonatti non ha mica fatto tutto) : ascensioni, solitarie, invernali, ect. ; le hanno fatte solo per dimostrare agli altri di essere i migliori. Per puro esibizionismo e vanità. Altre motivazioni non ci sono!
    Di Casarotto allora cosa dovremmo dire con tutto quello che ha fatto ?? Altro che Bonatti.

    @Marco Vegetti
    Caro Marco, certamente i racconti di Bonatti non sono quelli di un Livanos.
    La tragedia è, purtroppo, di casa nei sui libri. La lotta coll’ Alpe è esasperata, l’autoironia non è il suo forte.
    Ma dire che il suo alpinismo è privo di PASSIONE. Scusa se mi permetto, ma come affermazione , mi sembra una bella bischerata. Tanto per buttarla nell’ ironico.
    Bonatti invece ti avrebbe querelato…

  12. 31
    Antonella says:

    @Giovanni Guidi sottoscrivo ogni parola , tono pacato del commento compreso. E tuttavia aggiungo: credo che Bonatti, ad un certo punto della sua vita alpinistica, probabilmente a causa delle vicende gravi del k2, ma poi anche in seguito all’essersi sempre sentito osteggiato se non maltrattato dalle più importanti istituzioni alpinistiche quali CAI e Guide Alpine ,ecc abbia aggiunto alle proprie motivazioni primarie di alpinista in cerca di avventura, dell’ignoto ecc con spirito “puro” , una seconda motivazione che poi gli è forse sfuggita di mano prendendo in lui il sopravvento: ossia lo scalare per primeggiare nei luoghi più impossibili per DIMOSTRARE a tutti di essere lui il migliore… E quando il prestigio, la rivalsa divengono motivazioni primarie in montagna, non si è più gli stessi, sotto nessun punto di vista. Esaurita e accontentata la sua sete interiore di “rivalsa” , si è così esaurita, prima del tempo, la stessa vena alpinistica, che avrebbe comunque potuto ancora spaziare , per avventura, su numerosissime altre pareti nell’arco alpino, meno famose, meno apportatrici di prestigio senz’altro.

  13. 30
    marco vegetti says:

    @Alberto Benassi
    Sai caro Alberto, anch’io ho letto i libri di Bonatti e di tanti altri insieme a quelli. Ma da quelli di Bonatti (ma sono considerazioni molto personali) mi è sempre apparso un alpinismo narrato a base di tragedie, catastrofi, e spesso privo di passione PER la montagna: insomma, sempre un senso di narrazione tutto basato sulla fatica, il sudore, il dolore. Molto italiano, insomma, molto “cattolico”. Cosa che non ho mai riscontrato, ad esempio, nella letteratura alpinistica anglosassone: anche quando l’autore (esempio moderno il Joe Simpson de “La morte sospesa”) ne passa davvero di tutti i colori (ed è LUI la “vittima” della montagna -sia chiaro che la montagna per me non è mai assassina, ho usato un modo di dire per farmi capire meglio) c’è sempre una immensa autoironia. Ecco, questo mi ha sempre fatto avvicinare di più alla montagna in tutti i suoi aspetti, questo l’ho sempre trovato la vera trasmissione della passione per un ambiente e delle attività pericolose, a volte purtroppo mortali, ma piene di VITA.
    Ma sulla letteratura di montagna si potrebbe aprire un bel dibattito… 🙂

  14. 29
    Alberto Benassi says:

    Sicuramente ho gli occhi foderati di presciutto (presc… e non prosc…) Dicerto la storia del Torre non la conosco.
    Poi come ho già scritto non ci sono neppure stato.
    Ho dei dubbi, ma per me, i “MIEI” dubbi, non sono una prova.
    Quindi ci credo.
    Se Maestri ha detto una palla. Il problema è suo.

  15. 28

    I DUbbi sul Torre ce li ha solo chi non ne conosce la storia per bene. O chi non vuole guardare. Gli elementi che accertano la bugia di Maestri ci sono tutti. Stop

  16. 27
    Alberto Benassi says:

    Caro Marco Vegetti mi scuso per l’errore di trascrizione del tuo cognome. Le mie dita sulla tastiera non sonoil massimo.
    Anche il mio comunque lo sbagliano spesso…
    Quanto a Cassin sono totalmente d’accordo con te . Nei sui confronti è stata fatta una grande ingiustizia. Penso che sia stato estromesso da Desio perchè, sulla montagna, non sarebbe di certo stato ai sui ordini.
    Si è vero non ha fatta una lunga e noiosa LAGNA come ha fatto Bonatti . Ma ognuno è fatto a modo suo.
    Inoltre credo ci sia una differenza. Cassin è stato estromesso prima di partire. Bonatti è stato sacrificato durante la salita.
    Comunque non voglio certo fare il cieco difensore di Bonatti. Le riconosco anche io i suoi errori e i suoi limiti.
    La sua simpatia non è certo delle più grandi.
    Ma sai ho iniziato a scalare a 17 anni e ho da subito letto i suoi libri. Sono stati per me ( ma credo anche per tanti altri) uno stimolo, una carica, una fonte di sogni e di avventure alpinistiche.
    Per me , l’alpinista Bonatti è stato un grande. Magari non il più grande, come scrive Doug Scott nel suo bel Libro LE GRANDI PARETI , ma certamente quello che più ha contribuito a stimolare la mia sete di avventura di giovane è speranzoso “Apprenti montagnard” .
    Quando leggevo i suoi racconti, mi sembrava di essere li. Ingenua gioventù…
    Di questo posso solo essergli riconoscente.
    Quanto all’uomo Bonatti, si è vero: la simpatia non è il massimo. Sul K2 si è lagnato fino alla noia, aveva rotto i coglioni. Infatti dopo aver visto due sue serate, alle altre non ci sono più andato.
    Ben diversa è stata la simpatica autoironia che ho potuto vivere ad una serata di Kurt Diemberger.
    Ma che posso dire sull’uomo Bonatti senza incorrere in qualche ingiustizia. In fondo mica l’ho mai conosciuto personalmente. Conosco quello che ho potuto leggere, sentire.
    Ci sono alcune cose che mi hanno fatto pensare. Io mi sarei comportato diversamente.
    Ma certi pensieri sull’uomo Bonatti, visto che non l’ho conosciuto personalmente, preferisco tenermeli per me. Senza dare giudizi che potrebbero risultare ingiusti, offensivi perchè non suffragati da solidi argomenti.
    Tanto per divagare, visto che sul Torre io, purtroppo, non ci sono stato. A Maestri ci credo.
    Quanto ai “DUBBI” certo che è importante averli. Se ti sono stati fatti dei tori me ne dispiace.
    Ma visto che adesso c’è un blog come questo dove Alessandro ci da la possibilità di dire la nostra: di pure la tua!
    Sono sicuro che non sarai censurato.

  17. 26
    Marcello Mason says:

    Io posso solo dire che Walter è stato per me il più grande maestro: da lui ho appreso il modo giusto di vivere, nei limiti delle mie possibilità, l’avventura in montagna e soprattutto in lui ho riconosciuto quelle qualità straordinarie che hanno dato senso compiuto a termini come passione, coerenza e rigore. Non smetterò mai di essergli grato di tutto questo.
    Marcello Mason

  18. 25
    Alessandro Gogna says:

    Dando un occhio al tenore dei commenti a questo post, devo constatare che vi sono presenti troppe affermazioni buttate li’, alla facebook, che provano animosita’ verso i due personaggi. Prego tutti di contenere il versante litigioso e di attenersi allo spirito di questo blog. Grazie della collaborazione.

  19. 24
    marco vegetti says:

    Sottoscrivo tutto quanto afferma Marcello.
    Siamo in due, comunque, anch’io la penso come te sul Torre.

    @Massimo. Non esigo nulla da nessuno. A patto che questo nessuno non si erga a Portatore Della Verità Assoluta o che si autoincensi quale Puro Uomo A Differenza Di Tutti Gli Altri (maiuscole volute).
    Un tratto che purtroppo accomuna Bonatti a Messner.

  20. 23
    Massimo says:

    Al di la del valore alpinistico, trovo adolescenziale il bisogno di purezza che si richiede all’eroe, al mito. E’ un uomo e come tale si muove. Di diverso da me ha la capacità di salirei su roccia e ghiaccio. Per il resto è come me. Esigere da lui ciò il resto dell’umanità non possiede è proiettare i propri desideri su una figura irraggiungibile.

  21. 22

    L’astio di Bonatti che aveva verso molti a me non è mai andato giù.
    Ricordo una serata in cui ce l’aveva con i giovani arrampicatori sportivi (era negli anni ’80) perché non sfidavano il rischio come lui e cose così… Non fu simpatico per nulla, mentre ad esempio lo fu Maestri in un’occasione simile quando disse che avrebbe voluto essere più giovane per dedicarsi all’arrampicata moderna appena nata dimostrando ammirazione per i giovani presenti, tra cui il sottoscritto.
    Grande alpinista, il primo, ma non altrettanto come uomo, secondo me.
    Su youtube ci sono molte sue interviste (parlo di Bonatti) e l’enfasi e il tono con cui raccontava le sue scalate e avventure varie lasciavano solo trasparire, oltre al racconto in sé, la sua fame di affermazione e un malcelato senso di superiorità che non lo rendeva certo un simpaticone. Cosa del tutto umana, visto che viveva di quello, ma a voler fare quello a cui non gliene importava nulla, non gli è riuscito molto bene.
    Non è bello parlare bene di sé gettando fango sugli altri, e Bonatti l’ha fatto spesso, peccato. Avrebbe potuto contare sul suo effettivo valore e ne sarebbe uscito più da Signore. Ma sono mie idee… Al rogo, dirà qualcuno.
    Riguardo agli intoccabili della storia secondo il Cai, ribadisco perché ci tengo particolarmente, che solo in Italia siamo in molti (io no!) ancora convinti che il Cerro Torre sia stato salito da Maestri e Egger (pace all’anima sua) nel ’59, mentre per il mondo intero la prima salita è stata quella dei Ragni nel ’74 e Maestri (anche a causa del la schiodatura della sua via del compressore) è stato per lo più dimenticato. Avendo raccontato una balla è anche comprensibile ma nonostante ciò l’ho sempre trovato umano e simpatico perché pieno di contraddizioni. Un uomo completo, un padre e un attore della vita, insomma.
    Sono andato volentieri fuori tema.

  22. 21
    marco vegetti says:

    @Alberto Bennassi.
    Vegetti, non Vigetti! 😀
    Sarà come dici, di fatto chi osa avere “dubbi” o porsi domande sui “padri della patria” (la infinitesimale Patria alpinistica!) viene censurato o estromesso dal giro dell’editoria “montanara”. Più volte ho scritto alla Rivista del CAI sulla questione (così come su la vicenda Castiglioni) e chissà come mai, mai una volta è stata pubblicata una lettera… In compenso ne sono apparse a decine dove si facevano gli elogi del duo di cui si parla. Strana coincidenza, no? E sì che non sono esattamente uno sconosciuto nel mondo dell’editoria alpina (e dell’ambiente CAI).
    Cassin, caro Alberto, avrebbe avuto ben più motivi di lagnarsi per decenni, visto che di tutto il gruppo K2 ’54 era stato l’unico ad essere stato da quelle parti, con Desio, per i sopralluoghi: sarebbe stato certamente in grado di arrivare in cima ma è stato escluso. E se ne è fregato allegramente, salvo prendersi la rivincita nel ’58 guidando la spedizione al G IV, proprio con Bonatti e Mauri.

    @ Vincenzo
    A parte il ridicolo sarcasmo sul cognome, che per altro tu nemmeno hai il coraggio di mettere, mi pare davvero che ci si confonda un po’ tra Storia e storia. Che è un’avventura alpinistica di fronte alla Storia di un Paese? Nulla. Un manipolo di uomini, per una folgorante impresa, e la notorietà vaga che l’alpinismo ha sempre dato.
    Comunque sia, quello che mi premeva rimarcare è il “sentirsi superiore” a chiunque. Scrive a Ciampi chiedendogli di riconoscere la sua verità, addirittura paragonandola alla chiarezza fatta da Ciampi sulla strage di Cefalonia (W. Bonatti “K2 la verità”, pagina212). In questo senso dicevo: ma chi si credeva d’essere? Fino a prova contraria, il martirio di 5000 tra soldati e ufficiali trucidati dai nazisti per non essersi arresi ha un valore politico, etico, sociale ben più grande di una diatriba tra alpinisti, no?
    Bah…
    Quanto è pieno di sé un uomo che accusa Bonington di avergli “rubato” la prima salita al Freney affermando che era sua di diritto? Che uomo è quello che tenta con ogni mezzo di non far pubblicare in Italia il libro sul Freney scritto da Yves Ballu (uno dei più grandi storici dell’alpinismo) che tra l’altro l’ha basato solo su interviste giornalistiche, radiofoniche, televisive mai smentite dal buon B.?
    Se non mi garba, lo censuro?
    Bah, bis…

    E comunque, giusto per, mai messo in dubbio la grandezza ALPINISTICA di Bonatti…

  23. 20
    Fabio Bertoncelli says:

    È lecito sviscerare – senza malafede, senza fini denigratori, senza propositi diffamatori – la vita di una persona. Di certo emergeranno anche aspetti negativi: siamo tutti esseri umani.
    Tuttavia, prima di emettere il nostro giudizio, dobbiamo sempre chiederci: «Io sarei riuscito a fare di meglio?».
    In ogni caso, le critiche malevoli, ovvero dettate dalla nostra cattiveria, sono odiose e si ritorcono su chi le fa.

  24. 19
    Roberto Serafin says:

    Non fu solo Messner a vendere ai rotocalchi l’esclusiva delle sue esperienze, cosa di per se giustificata e più che lecita. Per completezza d’informazione, è doveroso dire che Bonatti gli fu maestro anche in questo. Appena riemerso nel 1961 dalle bufere del Pilone Centrale trovò a Courmayeur l’inviato di un’importante testata chi gli offrì una notevole cifra per raccontarsi e raccontare in esclusiva la sciagura. Non solo accettò, ma entrò così per la porta principale nel mondo dei rotocalchi e trovò più redditizio guadagnarsi da vivere facendo l’inviato speciale, attività per cui si mostrò molto tagliato. Ecco come Egisto Corradi, illustre inviato di guerra che fece parte come ufficiale degli alpini del corpo di spedizione italiana sul Don, raccontò sul Corriere l’episodio. “Un quarto d’ora dopo il suo arrivo”, scrive Corradi, “Bonatti era disteso sopra un divano di casa sua. Gli occhi gli lacrimavano abbondantemente. ‘Povero Oggioni!’ ripeteva ogni tanto. Tre medici lo andavano visitando. ‘Sto bene’, diceva poi a tratti. In realtà, nel discorrere piuttosto confuso che Bonatti faceva, affioravano brevi lampi di vaneggiamento…Ci fu, a questo punto, qualcuno che si premurò di informare i giornalisti presenti che in nome di Bonatti era stato firmato un giorno prima un accordo per la cessione in esclusiva del resoconto della vicenda a un settimanale. L’importo è assai ingente…Più tardi si seppe che la medesima somma verrebbe devoluta da Bonatti ai famigliari del suo compagno Andrea Oggioni”.

  25. 18
    Alberto Benassi says:

    Bonatti non è l’unico vero conquistatore del K2. Ci mancherebbe altro.
    Tutti hanno dato del suo altrimenti Compagnoni e Lacedelli in vetta non ci sarebbero arrivati da soli.
    Il primo fra tutti il povero Mario Puchoz che cia ha lasciato le penne.
    Però non si può lanciare il sasso e nascondere la mano:
    “Ma ci sono cose che “non si possono dire” pubblicamente, non si possono toccare i “padri della Patria”.
    Nessuno è intoccabile.

    @ Luca Visentini “Mi rispose che non era per lui, ma per la storia.” !!!!!
    Credo che sia questa una grade differenza tra i due. Uno l’ho fatto per la storia. L’altro…soprattutto per il portafoglio.

  26. 17
    Luca Visentini says:

    Cos’è che fa diventare più antipatico Messner di Bonatti (oltre al fatto che è l’unico alpinista che con la montagna si sia considerevolmente arricchito)? Il fatto che scendendo dall’ultimo quattordici Ottomila abbia abbandonato al campo base i suoi compagni salendo sull’elicottero della testata tedesca che per una prima intervista gli elargiva 30.000 marchi? O il sospetto che sia intervenuto grazie ai suoi appoggi per anticipare il permesso di quest’ultimo Ottomila rispetto ai ritardi diplomatici invece per Kukuczka? Saremo sempre a un passo dai campioni, cantava Guccini… A Walter Bonatti ho personalmente chiesto perché si accanisse così tanto per la faccenda del K2, quando tutti gli alpinisti gli davano già ragione. Mi rispose che non era per lui, ma per la storia.

  27. 16

    Bé Vincenzo, se Bonatti è l’unico e vero conquistatore del K2, dovresti conoscerne meglio la storia. Storia che non ha scritto solo Bonatti, ma anche Lacedelli, tanto per citarne uno.
    Per non uscire fuori tema però, mi viene in mente che in soffitta ho ancora uno zaino Millet sul cui dorso in un’etichetta c’è scritto: “ADAPTE’ PAR WALTER BONATTI et Reinhold Messner”, segno evidente che l’articolo di Bonatti è da prendere con le pinze e che Messner è diventato poi quello che tutti conosciamo.

  28. 15
    maurizio rota says:

    ognuno è figlio del proprio tempo (w. bonatti) quindi i tempi cambiano?

  29. 14
    Fabio Bertoncelli says:

    – Briciole di saggezza
    “Mi manca la forza fisica dei miei vent’anni, mi mancano il fiato che avevo a trentacinque e la capacità di soffrire dei quaranta. Mi manca tutto ciò, ma in compenso ora sono più sereno e felice.
    Non è importante essere ricordati, ma vivere una vita limpida.”
    (Reinhold Messner, 2014)

    Reinhold Messner, “ultima speranza del grande alpinismo internazionale” (Walter Bonatti dixit, 1971), dopo tanti decenni di ascensioni al limite si sente sereno e felice, seppure consapevole della sua vecchiaia.
    Chi l’avrebbe mai detto? L’età porta saggezza (a volte).
    E la saggezza – giovani o vecchi – ti sprona a vivere una vita limpida. Il che è difficile come una scalata di sesto grado (cosí si diceva ai vecchi tempi).

  30. 13
    Vincenzo says:

    Marco Vegetativa, il tuo errore di prospettiva sta tutto nella tua ultima frase: “…Chi credeva di essere…”. Bonatti non credeva di essere, Bonatti era ben conscio di essere! Come il tempo ha ampiamente dimostrato.
    Bonatti è l’indiscusso ed unico conquistatore del K2, un qualsiasi Presidente della Repubblica, come minimo doveva rispondergli personalmente ed invitarlo al Quirinale.

  31. 12
    Fabio Bertoncelli says:

    Sí, siamo tutti esseri umani, con pochi pregi e tantissimi difetti.
    Ma alcuni di noi hanno piú qualità di altri, sono piú bravi, buoni e generosi. Altri invece sono persone meschine, arroganti, prepotenti, cattive.
    Non esistono uomini perfetti (forse). Ma esistono persone migliori di altre. E bisogna distinguere le une dalle altre. Già è difficile farlo durante la loro vita, figurarsi a decenni dalla morte.
    Detto questo, anche Walter Bonatti ha avuto difetti, che sono stati evidenziati nei commenti precedenti. Probabilmente io non lo avrei mai sopportato, a causa del suo carattere intransigente e autoritario. Però, alla fin fine, nonostante i suoi difetti, riconosco volentieri che è stato assai migliore della media dell’umanità. È stato un uomo onesto, integerrimo, leale (oltre che un fuoriclasse dell’alpinismo).
    Nel mondo malsano in cui ci troviamo a vivere, quanti altri sono cosí?

  32. 11
    Valerio Rimondi says:

    Andreotti soleva dire – a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca -.
    Parole sante. Credo però che tale affermazione sia più riconducibile ad ambienti con un certo livello di torbidezza (politica, mondo degli affari, ecc.).
    Penso che l’ambiente di Bonatti e Messner sia ancora abbastanza sano a prescindere da tutto.
    Stiamo pur sempre parlando di un’ambiente ludico dove sì, certo vi sono degli interessi ma in cui il prestigio personale conta sicuramente di più del vil denaro. Non mi pare che la storia dell’alpinismo proponga molti volti di eroi diventati ricchi.
    Anch’io sono d’accordo su quanto scritto da Lauri, le sue mi sembrano riflessioni assolutamente condivisibili e sensate dal punto di vista storico.

  33. 10
    Giandomenico Foresti says:

    Concordo con Fabio Lauri, nel senso che le cose vanno sempre contestualizzate.
    Dai cosiddetti personaggi pubblici si pretenderebbe sempre il rispetto di principi granitici e inossidabili ma in realtà il personaggio pubblico altri non è se non un essere umano resosi maggiormente visibile per effetto di un ingranaggio in cui svolge un ruolo sia attivo sia passivo.
    Per farla breve, non si diventa Messner o Bonatti partendo dall’esaltazione dei media. Prima bisogna fare qualcosa di importante che attiri l’attenzione e sovente, almeno nell’ambito delle attività estreme, questo qualcosa di importante lo si fa con spirito libero. Una volta che si è diventati personaggi pubblici si aprono delle porte in precedenza chiuse. A questo punto la maggioranza delle persone pretenderebbe un passo indietro in virtù di quei famosi principi granitici e inossidabili. Principi che però molti di noi calpestano. Cioè non che da parte di personaggetti privati le virtù siano poi così enfatizzate. Spesso e volentieri si assistono a faide, ripicche, invidie, complotti, dicerie, e quant’altro di bassissima lega.
    Può darsi che nè Messner né Bonatti siano stati così limpidi e non escludo che Messner abbia scritto il libro sul fratello che non sapeva di avere per mero opportunismo però francamente il beneficio del dubbio lo darei ad entrambi.
    Io non so voi ma personalmente, sebbene non sia nessuno, nella vita ho cambiato opinione varie volte e non posso certo dire che quello che mi frullava per la testa trent’anni fa mi frulli per la testa ancora oggi. Ci sono persone su cui ho sparato a zero e che poi ho rivalutato, magari a distanza di anni, e persone che ho portato in palmo di mano le quali mi hanno profondamente deluso. Se è successo a me che sono un signor nessuno figuriamoci ai personaggi pubblici che hanno innumerevoli contatti in più e maggiori possibilità di espressione.
    Sarebbe bello che le cose andassero in un certo modo ma così non è.

  34. 9
    Giovanni Guidi says:

    Ringrazio Gogna per l’interessante articolo e mi complimento anche per la scelta delle fotografie affiancate al pezzo. Nei sorrisi dei due grandi alpinisti insieme c’è forse la risposta: due generazioni diverse, due grandi uomini dalla forte personalità che alla fine dei giochi capiscono, come già Bonatti aveva dichiarato nel 1971, di avere tanto in comune e di essere legati soprattutto da una profonda stima e forse amicizia. Messner addirittura arriva a chiamare l’altro “fratello”, parola che per lui più che di chunque altro vale molto di più di tante dichiarazioni. Insomma mi pare che i due siano stati sicuramente i più famosi e mediatici dei grandissimi alpinisti italiani; fin dai primi exploit di Messner Bonatti ha visto in lui il prossimo grandissimo alpinista classico, che proprio come lui è rimasto deluso dalle grandi spedizioni dal sapore eroico e di conquista, K2 1954 e Nanga Parbat 1970: quante affinità troviamo tra ciò che subì Bonatti per 50 anni e le accuse rivolte a Messner per la scomparsa del fratello? A dividerli furono gli anni ’80 ma riflettiamo bene su un punto: Messner è l’alpinista di un’epoca dove tv e pubblicità sono nettamente più diffuse rispetto all’Italia del 1954 o del 1965 di Bonatti. Messner ha potuto usufruire di spazi mediatici che Bonatti non poteva avere venti o trenta anni prima. Nell’articolo quindi credo che Bonatti tenti di riprendere Messner come un padre che non riconosce il figlio, non con invidia o rabbia, ma forse con incomprensione e delusione. Sarebbe interessante andare a scovare cosa pensava ad esempio Cassin di Bonatti stesso. Esiste un video del 100esimo compleanno di Cassin dove Bonatti e Messner lo vanno a trovare: quello che si percepisce, nonostante Cassin sia già molto affaticato, è un clima di grande armonia e stima tra tre amanti della montagna.

  35. 8
    Alberto Benassi says:

    @ Marco Vigetti
    “Ma ci sono cose che “non si possono dire” pubblicamente, non si possono toccare i “padri della Patria”. ”

    ma chi l’ha detto ??

    “spiccano il negare che senza Ardito Desio lui non sarebbe mai andato al K2 nel ’54”

    si vero. Ma senza le sue bombole lasciate lassù , Compagnoni e Lacedelli la vetta, l’avrebbero fatta…??
    E lui, invece, mi sa di si…anche senza quelle.

    @ Fabio Lauri
    Ti sei dimenticato di dire: grande opportunista.

  36. 7
    Fabio Lauri says:

    Quando si è ancora giovani e potenti, le divergenze emergono sempre. Nel 1971 Bonatti dedica a Messner “I giorni grandi”. Plausibile. Messner non era ancora un fenomeno mediatico ma solo un formidabile rocciatore convertitosi agli 8000 per ragioni di salute. Nel 1982, quando Messner pubblicizzava le macchine fotografiche Minolta, le loro posizioni non potevano che essere distanti. A distanza di 30 anni, in terza età, tutto cambia. I leoni non hanno più la potenza di un tempo. e le divergenze possono sfociare in confluenze ed umana simpatia. E’ la natura umana. La sua forza.
    Tra parentesi. Un formidabile articolo, quello di Bonatti. Deve essere letto, ovviamente, con gli occhi del 1986. Non con quelli odierni. Allora, tutto stava cambiando, repentinamente. Erano gli anni di Opera Vertical di Edlinger o del grande concatenamento con spostamenti in elicottero tra Cervino, Eiger e Grandes Jorasses. Nascevano riviste come Alp ed il mondo tecnologico spinto che oggi impera e trionfa. Fu quello il vero 68′,dell’alpinismo. Naturale che Walter Bonatti si esprimesse in quel senso. Reinhold Messner era ed è, anche un formidabile imprenditore, un politico, un direttore marketing di se stesso di straordinaria efficacia. Bonatti no. Non era classificabile allora come non lo è ancora oggi. Complimenti ad Alessandro Gogna per questa bellissima segnalazione e rievocazione storica di uno dei periodi maggiormente significativi dell’universo alpinistico. Complimenti.
    da facebook, 2 marzo 2017, ore 12.15

  37. 6
    marco vegetti says:

    Si, caro Giandomenico: passare sopra a molte cose…
    Per Bonatti, l’ho sempre sostenuto. Chi mi conosce lo sa, mi riferisco al caro Roberto Serafin, ad esempio.
    Ma ci sono cose che “non si possono dire” pubblicamente, non si possono toccare i “padri della Patria”.
    I Bonatti e i Messner sono degli “intoccabili” sia (oggi) per il CAI sia per molti colleghi giornalisti.
    Eppure bastava leggere per rendersi conto che qualcosa non era così limpido neppure in loro.
    Di Bonatti le cose che mi hanno sempre enormemente infastidito sono molte; spiccano il negare che senza Ardito Desio lui non sarebbe mai andato al K2 nel ’54 e l’assurdo sentirsi così unico e Giusto (e tutto quel che volete aggiungere) da indignarsi pubblicamente perché il Presidente della Repubblica ha fatto rispondere al suo Segretario a una lettera scrittagli per lagnarsi della vicenda K2 (ma chi cavolo credeva di essere il grande – alpinista- Walter Bonatti?

  38. 5
    Alberto Benassi says:

    @ Giandomenico Foresti

    forse più che incoerenza bisognerebbe parlare di puro opportunismo.

  39. 4
    Giandomenico Foresti says:

    Credo che tutti noi, nel corso della nostra vita, pecchiamo di incoerenza ma per me la vera incoerenza è quella che si manifesta quando si cambiano le carte in tavola nel giro di poco tempo (conosco gente che le cambia nel giro di pochi minuti. Devastante!).
    Invecchiando, non sempre ma spesso, si tende a vedere le cose in maniera diversa e si tende a passare sopra a molte cose.

  40. 3
    Giorgio Daidola says:

    Non ho altre idee, caro Roberto Serafin! Leggendo l’articolo di Bonatti posso solo dire una cosa ovvia: non è stato solo un grande alpinista ma anche un grande scrittore e un lucido pensatore. Come tale sempre attuale. L’articolo di trenta anni fa proposto da Gogna dovrebbe essere letto da tanti giovani e soprattutto da quegli alpinisti di avanguardia che nelle loro serate mettono in evidenza un impressionante superficialità di pensiero. Detto questo anche Bonatti, secondo me, quanche volta ha peccato, al culmine dei suoi successi. Non certo con gli sponsor ma con gli altri alpinisti del momento, forse per vanagloria, il che può spiegare anche la stizza, ben nascosta nell’articolo proposto da Gogna, di essere stato superato in notorietà da Messner con i suoi 14 ottomila. Bonatti, come tutti i grandi, si era sempre sentito, giustamente, una primadonna su tutti i fronti. Normale. Forse per questo ha peccato in modo clamoroso riguardo alla sua “prima” traversata delle Alpi in sci del 1956. Una traversata che voleva solo sua, senza divederla mediaticamente con l’equipe di Bruno De Tassis che la fece nello stesso anno e nello stesso periodo. Arrivarono insieme, secondo un accordo che definirei non proprio da “gentleman” della montagna. Ciò che non può non colpire negativamente è che Bonatti ignori completamente De Tassis e compagni nei suo capitolo del libro “Le mie montagne” dedicato alla traversata, attribuendosene il primato. Così come colpisce che dica poco o niente nello stesso capitolo di chi lo ha preceduto, come il grande Léon Zwingelstein con la sua traversata in solitaria del 1933 (non fino a Monte Canin, per carità, ma che traversata!). Cita solo distrattamente Mezzalama (che la traversata la studiò ma non la fece) e una spedizione tedesca, senza dire quale…Errato in ogni caso ignorare la storia! Errato però ancora di più ignorare De Tassis e compagni che, ripeto, fecero la stessa traversata nello stesso anno, e senza la “sponsorizzazione” della stazione di sci di Bardonecchia, indispensabile per pagare i costi relativi ai quasi 10000 chilometri della Fiat 600 multipla che con l’autista-sciatore Italo Toniutto garantì i rifornimenti al gruppo di Bonatti. La verità è che siamo tutti uomini, con alcuni pregi e tantissimi difetti.

  41. 2
    Alberto Benassi says:

    Con tutta l’ammirazione che ho sempre avuto del Bonatti alpinista, ma credo che anche lui, come tanti altri (Desmaison), quando era in attività, abbia avuto le sue sponsorizzazioni.
    Certamente nulla di confrontabile con quello che ha avuto Messner.
    Però, che si tratti di poco o di tanto. Sempre sponsorizzazioni sono.
    Sui Giorni Grandi, allora Bonatti scrisse la sua dedica all’ultimo rappresentante dell’alpinismo classico. Poi ha cambianto idea. Non ci vedo nulla di sbagliato. Del resto Messner per i sui affari non è che si sia fatto molti scrupoli. Spesso e volentieri si è contraddetto.
    Si è dichiarato ambientalista nel partito dei Verdi e poi ha fatto la pubblicità ai fucili da caccia; altissima e levissima; parmigiani vari; ect. ect.
    Quindi se Bonatti ne è rimasto deluso non vedo perchè non lo dovesse dire.
    Nonostante tutto quello che è stato detto e scritto i due in vecchiaia si sono rincontrati e riappacificati. Chissà perchè ? Forse la vecchiaia ci rende tutti più buoni?
    “Insomma è curioso vedere come siamo fatti strani. AG ”
    Si siamo proprio fatti strani.

  42. 1
    Roberto Serafin says:

    Oso autocitarmi, anche se non sta bene. Come è riportato nel mio libro “Walter Bonatti. L’uomo, il mito” pubblicato nel 2012 da Priuli & Verlucca, il tempo ridimensionò in tarda età quella che Walter ha sempre inalberato come una sua virtù primaria, la coerenza. “Buon segno, la vecchiaia porta in dono anche la libertà di cambiare idea”, scrissi. Effettivamente negli anni ottanta Bonatti non risparmiò apre critiche a Messner, che ora lo indica come un fratello, dopo averlo orgogliosamente indicato come un suo erede. Alti e bassi, e vabbè’. Come si legge nei faldoni conservati alla Biblioteca Nazionale del Cai, nel 1987 declinò perfino l’invito del Club Alpino Accademico a partecipare al convegno a Biella in cui si diede vita a Mountain Wilderness “studiato con l’attiva ed entusiastica collaborazione di Reinhold Messner”. Motivò il suo rifiuto con “la presenza, nella lista degli invitati, di persone che io reputo trovarsi in netta contraddizione con il carattere idealistico e molto significativo della manifestazione”. Con chi altri poteva avercela se non con Messner diventato ormai il re degli ottomila, reo con le sue sponsorizzazioni di avere portato i mercanti nel tempio? Qualcuno ha qualche altra idea?

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