Il “racconto” oggi

Il “racconto” oggi
(pubblicato su In movimento, dicembre 2016)

Immaginiamo una scena di questo tipo: una persona legge un libro o una rivista. Ha appena finito di dare una sfogliata in generale e si accinge alla lettura di un brano, di un articolo, o di un capitolo. E’ ormai immerso nel mondo evocato da questi, quand’ecco che, improvvisamente, gli suonano alla porta. Allora quello si alza e va a vedere chi è che bussa, se un amico, un conoscente, un venditore ambulante. Quando potrà finalmente sedersi in poltrona per continuare la lettura, è facile che il momento magico sia sfumato, e fa capolino il sospetto che sia necessaria tanta energia per tentare di riacchiapparlo.

Immaginiamo ora che casa sua abbia non una porta, ma due o tre. E immaginiamo anche che il poveretto debba rispondere al telefono, magari pure a una seconda linea… Si ha così una vaga idea di cosa significa leggere oggi.

Che ci faccio qui? è un libro di Bruce Chatwin, splendido esempio di racconto di viaggio cui oggi ci si dovrebbe ispirare.
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Del tempo che dedichiamo alla lettura, al di là di argomenti relativi al proprio lavoro, quanto è riservato a un libro o a una rivista? Poco, se paragonato al tempo che dedichiamo alla lettura su pc, tablet o smartphone.

Naturalmente ci sono eccezioni: ma queste non fanno che confermare la regola: la lettura su testi digitali si avvia ad avere la predominanza totale.

Il paragone fatto pocanzi con le scampanellate alle porte e con le telefonate in arrivo ci serve per porre l’attenzione su quanti stimoli digitali ci bersaglino di continuo, con WhatsApp che si sovrappone a una mail, che sovrasta un SMS, che scavalca il link che stavamo cliccando (con ciò deviando comunque dalla lettura base)…

E’ vero che l’intelligenza di un giovane è più adatta a questo multitasking (svolgimento di più funzioni contemporaneamente) della lettura: di certo la generazione degli anni ’80 (con quelle precedenti, ovviamente) è meno agile. Questa adattabilità da una parte esalta le qualità “elastiche” della nostra intelligenza, dall’altra tende a impedire un qualsivoglia approfondimento, se non altro per impossibilità temporale.

Nell’ansia di tenere ancorati i lettori, i redattori di siti web sanno da tempo che occorre propinare loro articoli abbastanza brevi, con i concetti base ben ripetuti, possibilmente nella dimensione totale di una paginetta comprensiva d’immagine. Tutti i notiziari online sono confezionati con quest’avvertenza, nella speranza che il lettore arrivi fino in fondo. L’articolo pre-masticato è comunque infarcito di link tipo wikipedia che ti linka anche gli anni! Avrete notato che in wikipedia se si clicca su un anno si apre una pagina relativa proprio a quell’anno, nella quale si elencano i fatti più importanti… e se si clicca su giorno e mese, ne salta fuori un’altra dove vengono elencati tutti i fatti più importanti (nei vari anni) successi in quella data… ma questo che c’azzecca con il tema iniziale dell’articolo? Assolutamente nulla. E’ pur vero che molti dei link riportati servono effettivamente all’approfondimento di quanto esposto nell’articolo breve.

In pratica si dà al lettore la seguente scelta: o la lettura pre-digerita senza alcun approfondimento, oppure la lettura integrale di tutti i pdf messi in link, ottenendo un approfondimento di facciata che però non ha alcuna speranza di essere affrontato dalla maggior parte dei lettori. Nella “frenetica vita moderna”, i redattori hanno sempre meno tempo per scrivere e quindi ricorrono ai copia-incolla con inserimento dei link; e i lettori hanno sempre meno tempo di leggere.

Lo scopo, dicevo, è quello di ancorare giorno per giorno il lettore al proprio sito, seducendolo con l’apparente facilità di lettura di un articolo breve, che però di solito è insipido, incompleto, superficiale.

Un ambiente davvero adatto alla lettura
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Sono pochi quelli che tentano altre strade, cercando di offrire letture digitali selezionate ma approfondite, a volte del tutto avulse dalla cronaca, che possono quindi essere affrontate con piacere e interesse anche dopo settimane, mesi o anni dalla pubblicazione.

Il campo della montagna e della sua cultura non fa eccezione. Almeno due o tre riviste di montagna che fino a una decade fa sopravvivevano nel panorama dell’offerta di cultura sono oggi chiuse, mentre al contrario sono nati portali d’informazione e di cronaca molto seguiti, per non parlare dei social nei quali si assiste a un grandissimo agitarsi di offerte di pagine relative alla montagna, alle sue attualità di cronaca e ai suoi business.

Dopo questa premessa, arrivo al nostro tema, il “racconto”. E’ ovvio che, data la crisi della carta stampata, le uscite editoriali di questi anni si contino sulle dita. Se mettiamo da parte le monografie tecniche, sono molte le opere che non vedono la luce per mancanza di editore o per mancanza di fama del nuovo autore. Una situazione di stallo che non porta solo alla “non pubblicazione”, perché alla lunga porta perfino alla “non scrittura”, per mancanza di stimoli e opportunità. Di solito scriviamo per essere pubblicati e letti: e se ci sfiora la certezza che questo non avverrà mai, la conclusione è che “tanto vale non scrivere”.

Si è perfino persa la nozione del valore di un libro. La maggior parte si accontenta di pubblicare su facebook foto senza didascalia o quattro sgrammaticate impressioni alla veloce di una propria gita o ascensione, nella consapevolezza di interessare solo i propri amici (e già sarebbe assai…). Si perde così il punto di vista generale, la curiosità per l’altrui lontano da me, precipitando così in un pericoloso particolare localismo d’interessi. Nei social poi si perde la capacità riflessiva, si scrive nell’impulso del momento, sia lodi sperticate che insulti. E chi legge, lo fa di conseguenza…

E’ questo il “racconto” di oggi? Sarei tentato di rispondere di sì, se non ci fossero qua e là sprazzi che provano il contrario. Rari e nascosti. Così nascosti che sembra di andare per funghi…

 Validi esempi di “racconto” oggi
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Il “racconto” oggi ha necessità di essere sempre più “veritiero”. Non perché un tempo non ci fosse esigenza di verità. Un tempo il racconto doveva far sognare e ci si affidava all’abilità letteraria dell’autore per ottenere questo scopo. E se la scrittura, qualche decade fa, ogni tanto esagerava un poco nelle tinte, era accettato, scontato. Oggi foto e video, in genere allegati al testo, hanno soppiantato le capacità creative dell’autore, dunque il testo dev’essere molto british, essenziale. Una volta si sarebbe detto “tacitiano”. Non ci si può permettere sbavature e l’italiano in genere mal si adegua a questa esigenza. In più foto e video, nella loro indubbia spettacolarità, talvolta ottenuta del tutto artificialmente con photoshop o in sede di montaggio, uccidono in partenza qualunque tipo di esercizio di fantasia dello scrittore e del lettore, dunque sembra che tutto congiuri perché il “racconto” oggi abbia il massimo di difficoltà sul suo cammino!

Ovviamente ritengo che nessuno abbia la formula per farsi beffe creativamente in queste difficoltà: però di fronte a qualche esempio di bel racconto, anch’io, navigato e talvolta annoiato internauta, mi stupisco e mi emoziono, come un bambino.

Quando questo succede, mi viene da pensare che non tutto è perduto. Abbiamo davanti un lavoro enorme: forza, affrontiamolo! Senza paura di fare scelte sbagliate, perché è sempre meglio sbagliare che stare fermi nell’indecisione.

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Il “racconto” oggi ultima modifica: 2017-02-01T05:33:09+01:00 da GognaBlog

4 pensieri su “Il “racconto” oggi”

  1. 4
    giampiero assandri says:

    L’articolo tratta un argomento interessante ma un po’ troppo vasto: il WEB è una bestia immensa e proteiforme, in cui troviamo sia contenuti sia strumenti, a volte così legati tra loro da non riuscire a distinguerli. Vediamo qualcuno di questi campi.
    Editoria classica: si trovano pressoché tutti i libri che esistevano nell’era cartacea, in più in forma digitale, la cui fruizione presenta oggettivamente alcuni vantaggi (li puoi avere in tempo reale basta che paghi, non pesano ecc.) e qualche rischio : mentre se compriamo un libro di carta ne siamo proprietari, di un libro digitale ne abbiamo solo una temporanea disponibilità, che potrebbe cessare se il proprietario del codice di lettura decidesse di cambiare il formato (argomento a sé che porterebbe da un’altra parte). In ogni caso sono certo che il numero di volumi pubblicati nel 2016 con il bollino SIAE è di molto superiore a quelli editi nel 1980 e nel 1980 sono stati di più che nel 1910: quindi la possibilità di un aspirante scrittore di veder pubblicata la sua opera oggi è molto superiore, a mio avviso, rispetto a quella che poteva avere qualche decennio fa: ovviamente le vendite e “la fama” degli autori è inversamente proporzionale al numero di autori pubblicati.
    Editoria “fai da te”: ho scritto un libro di racconti edito con un contributo al piccolo editore, pubblicato con tanto di biollino SIAE, ma ne ho vendute appena 150 copie; un mio amico che passa molto tempo a promuovere le sue opere (piuttosto buone) presso librerie, biblioteche e pro-loco, senza dimenticare di metter molti like ai suoi 800 amici di FB, ne avrà vendute 500 copie e non mi stupisco di questi esiti: perché mai infatti qualcuno dovrebbe perdere il suo tempo prezioso per avventurarsi fra delle decine di migliaia di volumi pubblicati in proprio, magari sul web, sperando di incappare prima o poi in qualcosa di decente?
    Social : più che altro servono a raccogliere informazioni sulle persone a fini commerciali; qualcuno si illude che la comunicazione sui social possa equivalere alla antiquata relazione, ma dopo un anno di frequentazione di FB, se non è completamente stupido, si rende conto della differenza. Si tratta però di strumenti abbastanza flessibili, ad es. si può circoscrivere la cerchia degli amici a quelli che si frequentano nella vita reale e “pubblicare” qualcosa di sensato: racconti, commenti, recensioni ed accontentarsi di quelle poche decine di affezionati che ci stimolano a ragionare o a usare la fantasia a seconda delle nostre attitudini.
    Blog: se la gente capisse che il blog di Mario Rossi ha la stessa visibilità di una pietra grigia sulla spiaggia di ciottoli di Loano, non lo aprirebbe, ma tant’è. La visibilità bisogna averla costruita prima su di sè (vedi Gogna), è evidente, mentre i contenuti contano meno del 10% sul successo del blog.
    Wikipedia: forse, come dice Marc Augé, insegna qualcosa solo a chi già sa. Nonostante questo giudizio molto critico, a me wikipedia pare una delle migliori cose prodotte dal mondo digitale, a patto che non si pretenda di approfondire gli argomenti al di là di una conoscenza media.
    Youtube: si trova di tutto, impossibile qualsiasi giudizio: sarebbe più sensato giudicare l’uso che ciascuno ne fa. Se non avessi avuto a disposizione Wikipedia, Youtube , Google, gli archivi online di alcune riviste e persino Amazon per l’acquisto di un libro vecchio introvabile sul mercato, non avrei mai potuto mettere insieme quelle conoscenze minime per scrivere le tre biografie di Beverly Johnson, Zwingelsten e Stammberger cortesemente ripubblicate su questo blog.
    Infine mi pare che da quando il cinema e poi tutte le successive forme di rappresentazione della realtà attraverso l’immagine hanno invaso la nostra vita, anche il modo di scrivere (parlo della “letteratura”) è cambiato: gli scrittori oggi adottano tutti, o quasi tutti, uno stile molto vicino alle sceneggiature: è come se la storia raccontata fosse vista attraverso l’obiettivo di una telecamera, mentre nei secoli passati e fino a metà del 900 circa si dava molta più rilevanza al flusso dei pensieri e alla caratterizzazione dei personaggi. Qualche scrittore (vedi Piperno) scrive ancora in quel modo “pre-cinematografico”, ma è una rarità. Probabilmente stiamo vivendo una modificazione antropologica che ci fa perdere in certa misura la capacità di immaginare e forse guadagnare qualcosa su altri versanti. D’altra parte pare che nei secoli passati , quando la scrittura era meno usata perché non esistevano libri, le persone fossero capaci di ricordare a memoria migliaia di versi. Evidentemente il nostro cervello si adegua al contesto per trarne i risultati migliori…almeno si spera.

  2. 3
    anna garelli says:

    e’ proprio vero quel che dici
    a me piace molto scrivere, ancor di piu’ leggere
    e’ ormai da un po’ che nella nostra societa’ prevale l’ immagine, a danno della parola
    certo l’ immagine e’ piu’ immediata della parola: fa faticare meno, strizza meno il cervello
    la lettura richiede una trasformazione da parte della testa
    la minor fatica che l’ uomo ricerca in tutte le attivita’, migliorando le applicazioni dei ritrovati di scienza e tecnica riducono il nostro potenziale, le nostre capacita’
    anche il capire per immagini ci fa faticare meno
    ma, oltre al fatto che le parole lasciano aperta l’ immaginazione di ognuno e quindi lasciano aperti gli ampi spazi del pensiero, sono certa, ne conseguira’ una riduzione nella capacita’ del cervello umano di capire le frasi

  3. 2
    Luca Visentini says:

    Questo tuo ultimo pezzo meriterebbe di rimanere provocatoriamente per un’intera settimana in “pole position”, ma sfuggirebbe lo stesso.
    Tante cose. Penso per esempio al mio giovane nipote con cui spesso mi confronto e che viaggia, come hai inteso tu, in orizzontale, cioè comunica simultaneamente in più direzioni. E si arricchisce comunque, mentre io o faccio questo o quello, o lavo i piatti o discorro, stupito, con un altro esempio, della capacità delle donne di badare contemporaneamente a più incombenze. Ciò che però suggerisco a mio nipote è di ricercare anche una capacità critica, di sintesi, per scremare la fuffa dalla verità. L’importante è fare la scelta giusta.
    Non aiuta al momento il mercato editoriale pressoché schiavo della spettacolarità: perché un bravo scrittore deve essere un uomo pure di spettacolo? La timidezza e la riservatezza, ora, non pagano. E ci si sente sempre più inadeguati ricorrendo ai modelli imperanti.
    L’omologazione è un problema costante, non di oggi. Nel mio piccolo, mi piace leggere l’Enrico Camanni di alcuni suoi recenti “libretti” (La metafora dell’alpinismo, Il viaggio verticale, L’incanto del rifugio), allora sì che mi concentro e mi ritiro nell’occasione per non essere disturbato. Trovo in ogni brano nuovi e profondi spunti.
    Quando invece scorro su Planet Mountain, acriticamente, il report di due lombardi che arrampicando per la prima volta sul Campanile di Val Montaia hanno adocchiato un pilastro dei Monfalconi e si son detti “Là, ci starebbe una via”, e poi tornano a realizzarla con superficialità e inadeguatezza storiche, ecco, una tale divulgazione mi delude.

  4. 1
    Francesco says:

    Condivido pienamente quanto tu scrivi a proposito del racconto e dell’attualità multimediale (come bisogna scrivere oggi). Ti posso fare un esempio con mia figlia 14enne.
    Adolescente, drogata di iPad, prima della classe dalla prima elementare. Pattina, suona pianoforte, segue un corso di arte. Sfaticata, si lamenta se vuoi camminare 2 kilometri per andare a prendere un gelato.
    È sfaticata, ma l’anno scorso siamo tornati in Italia ed ho voluto fare un pellegrinaggio in Brenta per portarla a vedere le montagne su cui “scalava” il suo malandato padre. Siamo partiti da Vallesinella, siamo saliti al Brentei ed ho voluto finire la passeggiata sotto le pareti del Basso. Mia figlia voleva continuare, era entusiasta, non sarebbe più scesa. Era praticamente la seconda volta nella sua vita che vedeva delle vere montagne.
    L’anno prima siamo partiti alla fine della scuola ed abbiamo vissuto 55 giorni in camper girando USA e Canada, io lavoravo in camper e le mie donne se la godevano. In quei due mesi mia figlia ha divorato libri su libri, era entusiasta di ciò che leggeva, faceva critiche letterarie alle sue amiche (via Internet naturalmente).
    Tutto questo per dire che siamo sempre noi i colpevoli di ciò che succede, una volta c’erano delle necessità diverse da quelle di adesso. La tecnologia ci ha aiutato da un lato e ci ha distrutto la vita dall’altro. La battuta – Si stava meglio quando si stava peggio – credo che non sia più una battuta, se mi fermo ad osservare i cambiamenti che il freno naturale della situazione aveva provocato sulla mia iperattiva figlia.

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