Introduzione alla danse-escalade

Introduzione alla danse-escalade
di Michele Fanni
(
introduzione alla tesi La danse escalade, un recente fenomeno artistico e culturale che pubblicheremo in tre puntate)

– Mais c’est pour approcher du ciel, que votre frére reste la-haut…
Mio fratello sostiene – risposi – che chi vuol guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria – e il Voltaire apprezzò molto la risposta.
Italo Calvino, Il Barone Rampante

Quando qualche anno fa, ho scritto questo piccolo lavoro sulla danse escalade, una sola convinzione orientava i miei incerti passi nel mezzo di quel totale marasma di spunti, idee, farneticazioni, entusiasmi che affollava i pensieri: l’arrampicata libera non poteva essere altro che un’arte, con tutti i crismi del caso.

Patrick Berhault
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A quel tempo avevo iniziato a seguire, quasi per scommessa, il corso di Storia della Danza e del Mimo tenuto a Torino dal professor Pontremoli. Incredibilmente quelle sei ore settimanali, nel giro di pochi mesi cambiarono completamente il mio modo di confrontarmi con i movimenti del quotidiano. A ventidue anni, guarda un po’ te, scoprivo di avere un corpo!

Leggevo con stupore di danzatori capaci di donare significato al reale semplicemente attraverso lo spostamento del baricentro, di equilibri abili a incarnare ideali o sistemi di pensiero, di gestualità e prossemiche severamente controllate da scale di valori. Ogni movimento, consapevole o meno che ne fossi, rifletteva un particolare modo di stare al mondo, una ben pianificata organizzazione dell’universo.

Rimasi profondamente colpito dal progetto utopico volto alla costruzione di un uomo (ma soprattutto di una donna) nuovo, integrale, portato avanti, a partire da inizio Novecento da alcune danzatrici e danzatori davvero illuminati e profetici: Isadora Duncan, Ruth St. Denis, Rudolf Laban, e più tardi Martha Graham. Attraverso la conoscenza-esperienza del proprio corpo, della propria natura, si sperimentava l’armonizzazione totale del proprio essere, tanto da raggiungere la felice identità tra mente e corpo. Una rivoluzione copernicana: cambiare la propria lente sul mondo, il corpo, per trasformare il reale; liberarsi da quello strenuo e subdolo controllo che il Potere esercitava (ed esercita ancora) sulla carne dei popoli.

Trovavo sconvolgente che il nostro corpo potesse raccontare tutte quelle cose! Poi un giorno, sfogliando i diari della Duncan, leggendo qua e là qualche piccolo stralcio, mi risuonò roboante nella zucca un potente dejavù: avevo già letto cose del genere, ma dove?

«Che cos’è la vita? Conoscere se stessi, controllare il pericolo, vivere in equilibrio con la natura: la ragione dell’alpinismo. Credo sia un bisogno più attuale che mai. L’uomo si riflette nella natura e ritrova la sua dimensione».

Era stato un dialogo tra Enrico Camanni e Patrick Berhault a folgorarmi.

Per non parlare poi dell’estrema vicinanza che riscontrai tra gli esperimenti all’avanguardia della Post Modern Dance e i turbolenti e gioiosi anni illuminati dal sole del Nuovo Mattino, ma se continuo con questo andi, non finiamo mai più…

Capivo allora che per quanto potesse suonare trombonesco e retorico sarebbe stato giusto avvicinarsi a quelle strane creature chiamate alpinisti con nuovi occhi: in barba ai record, agli exploit senza cuore, all’asettica corsa al grado, li avrei riconosciuti come artisti.

Antoine Le Menestrel
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Certo, correvo il rischio di travisare la memoria dei grandi del passato: trasformare con avida supponenza alcune lievi dichiarazioni allusive al mondo artistico in granitici dogmi e paradigmi per rinfocolare le tesi del mio lavoro. Spero di non essere caduto in questo brusco pericolo! Ma trovavo innegabile l’esistenza di un fil rouge (o meglio un canapone) che in nome dell’estetica sapesse legare la creatività e l’immaginazione di quegli scalatori che da fine Ottocento sino ai giorni nostri hanno danzato sulle montagne.

Come argomento centrale scelsi allora un fenomeno artistico contemporaneo, la danse escalade, disciplina poco conosciuta e ancor meno studiata (come sarà facile intuire dalla bibliografia un po’ naif, dove i testi di alpinismo sovrastano le pubblicazioni riguardanti la danza…); studiando questo frutto pienamente poetico ed artistico mi ero ripromesso di indagare pianta e radici d’origine.

Divisi il lavoro su tre capitoli: una ricerca delle origini storico-culturali del fenomeno, un’analisi dell’evento spettacolare ed infine una panoramica sulle compagnie attualmente attive in questa disciplina. Naturalmente scrivere il primo capitolo fu la parte più golosa ed entusiasmante. Mi misi sulle tracce di quel grimaldello estetico che, nella mia convinzione, doveva aver segnato profondamente l’agire delle diverse generazioni di alpinisti. Iniziai a frequentare assiduamente una piccola libreria non lontano da casa che con caparbio mestiere mi fornì molti dei testi sui quali avrei poi fondato il mio cammino di ricerca. Non vi dico il giorno in cui mi presentò i due monumentali volumi della Storia dell’Alpinismo e dello Sci di Motti… fu amore a prima vista!

Avevo già letto la Storia dell’Alpinismo di Claire-Éliane Engel con il contributo sull’alpinismo in Italia di Massimo Mila, ma a parte alcuni curiosi episodi (uno su tutti: Preuss a Torino che dopo una conferenza scala uno spigolo tra Corso re Umberto e Corso Vittorio Emanuele!) nulla aveva davvero soddisfatto la mia affamata ricerca. Il testo di Motti invece andava esattamente nella direzione in cui stavo cercando di guardare, leggeva gli eventi con uno spirito nuovo (nuovo ancora oggi!). Contestualizzava le imprese, cercava di fornire delle spiegazioni che evadevano dal ristretto ambito alpinistico, dava corpo all’alpinismo portandolo finalmente su un piano culturale che permetteva di leggere più in profondità.

Fu così che, piano piano, individuai i miei protagonisti: Mallory, Fehrmann, Dülfer, Preuss, Solleder, Andrich, Allain, Rébuffat, Livanos via via passando per i fermenti californiani degli anni Sessanta, il Nuovo Mattino, sino ad arrivare a Manolo, Berhault e naturalmente Le Menestrel.

Nella mia piccola indagine ne ho sicuramente dimenticati molti, troppi, (uno in particolare: Comici) ma il mio percorso non pretendeva la completezza (non avevo né tempo, né competenze per un lavoro così esigente). La volontà era quella di mostrare attraverso una pur rapida indagine che quanto stavo ipotizzando non era pura farneticazione.

Il personaggio più rivoluzionario di cui ho scritto è sicuramente Patrick Berhault, primo vero e proprio artista del verticale. Consapevolezza, fantasia, coraggio al folle gioco dell’avventura. Grazie a lui l’arrampicata ha potuto riconoscersi nella danza. In quei fatidici anni Ottanta che videro il traumatico cambiamento di rotta di un alpinismo in crisi verso le fresche, ma insidiose (almeno a mio avviso) acque della competizione sportiva, il rassegnato tramonto del Sogno trovò un piccolo spiraglio di speranza proprio nella prospettiva artistica. Il drago messneriano non era ancora morto e sepolto!

Antoine Le Menestrel in azione
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Berhault era riuscito a carpire il valore più umano dell’attività alpinistica e a trasformarlo non solo in strepitosi exploit, ma anche in impegno sociale e civile. Vivere di montagna voleva dire provare a catapultare lo spirito avventuriero delle grandi imprese in parete nelle banali dinamiche del vivere quotidiano, originando qualità (forse solo Rébuffat era riuscito a fare tanto!). Se si accosta l’orecchio ai suoi scritti si avverte innanzitutto la grandezza dell’uomo: l’essere umano ben calato nella realtà, ma allo stesso tempo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole.

Naturalmente il lavoro si concentra molto sulla strabiliante figura di Antoine Le Menestrel, il più importante poeta verticale vivente. Se qualcuno avesse ancora dubbi sulla natura artistica dell’arrampicata lo invito ad assistere ad uno dei suoi prossimi spettacoli (http://www.lezardsbleus.com/PAGES/rubrique_agenda/tunel_agenda.html), non c’è niente di più rivelatore. Se Berhault era riuscito nell’arduo compito di far riconoscere all’alpinismo una connaturata consapevolezza artistica, Le Menestrel sfonda le porte dei teatri e rivendica un posto per l’arrampicata nel mondo dell’arte. E a questo richiamo risponde, non per niente, l’avanguardia contemporanea: Romeo Catellucci, Jérôme Bel e luoghi sacri come il Festival d’Avignone, Il Festival dei DueMondi di Spoleto, Il Festival Oriente-Occidente di Rovereto…

Non è più un curioso esperimento creativo, dove le tecniche dell’arrampicata si prestano ad una messa in scena, ma è arte a tutti gli effetti, senza possibilità di dubbio.

L’avventura diviene allora andare a scovare nelle nicchie delle grigie facciate urbane, tra i sassi delle sue partizioni minerali quegli spiriti, quegli spettri aleggianti, quelle sonnecchianti e antiche rivoluzioni capaci di stravolgere le prospettive sulla vita di tutti i giorni. Le Menestrel, novello Sigfrido, evoca il drago e si tuffa a capriole nella giocosa lotta. E’ arrampicata «innalzata a un grado più elevato e intenso», un’epifania gioiosa, un bicchiere di limonata in compagnia di Montale:

Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

Qui concludo la presentazione di questo, forse ingenuo progetto. Non so quanto questa possa effettivamente rivelarsi una lettura convincente e coerente, tuttavia ritengo che questa strada in un modo o nell’altro doveva essere intrapresa. Mi auguro che qualcuno, meglio di quanto abbia fatto io, possa mettersi su queste (goffe) tracce e continuare a cercare. Io, già che perseverare è diabolico, ho giusto iniziato da qualche mese a scrivere la tesi magistrale, La dance escalade, un recente fenomeno artistico e culturale, proseguendo il lavoro di due anni fa e provando ad aprire nuovi orizzonti e nuove avventure.

P.S. Per entrare al meglio nello spirito che si confà ad una dissertazione di laurea, tre giorni prima della discussione in aula mi trovavo sperduto tra le boscaglie sopra Cala Sisine, stanco e affamato insieme ad altri tre gioiosi e disperati amici, muovendo piede alla volta di Cala Fuili, ultima meta del nostro Selvaggio Blu. Un buon modo per cercarsi delle grane… ehmm, volevo dire Avventura.

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Introduzione alla danse-escalade ultima modifica: 2015-03-22T07:00:47+01:00 da GognaBlog

1 commento su “Introduzione alla danse-escalade”

  1. 1
    Dario Bonafini says:

    Mi dispiace molto che la Signora Tenderini sia così “Bacchettona” moralista e Ciellina al punto di non vedere l’arte, perché questa è una forma d’arte e Le Menestrel ne è un degno rappresentante oltre che un Climber che ha sempre fatto della Grazia dei movimenti uno stile personale. Sono pronto a scommettere che se non era una facciata Gotica quindi una chiesa la nostra “vergine dell’Alpe” se ne sarebbe rimasta zitta. E poi chi si crede di essere per dire di publicare o meno questo articolo. Peccato è ferma ancora alla lotta con l’Alpe che si vergogni “Vecchia Cornacchia”.

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