La parentesi italiana di Dean Potter

La parentesi italiana di Dean Potter
Appunti per un libro che non sarà mai scritto
di Luca Calvi

Tra le domande che mi vengono rivolte con maggiore frequenza in merito alla mia attività di traduttore / interprete per il mondo dell’alpinismo e del verticale ce n’è una che, nella sua semplicità, mi fa capire quanto sia fortunato a poter svolgere questa funzione: “Ma com’è di persona?” è la domanda che mi viene posta quasi con regolarità dopo ogni incontro o conferenza con un qualche artista del verticale o funambolo dell’aria rarefatta. In effetti, sarò sempre grato e riconoscente a Fabio Palma per avermi dato la possibilità e l’input per applicare e sfruttare le possibilità dei miei “arti e mestieri” alla mia passione di sempre, potendo così entrare direttamente a contatto e in alcuni casi anche in amicizia con personaggi che fino a pochi anni or sono rimanevano solo quasi dei “miti”.

Dean Potter in free solo su Easy Rider, Yosemite

E così anche in quell’aprile del 2011 ricevo una telefonata da Fabio, che con la sua solita estrema naturalezza mi avvisa che sì, è andata, ce l’hanno fatta, grazie ad una collaborazione con gli sloveni, Dean Potter sarà in Italia… “Visto che ci sei, vai tu a prenderlo a Linate? Io vi aspetto a Sirtori per la cena…”. Confesso che Dean Potter per me allora era poco più che un’idea, un’immagine di un semiselvaggio pazzo furioso che vive in maniera quasi ascetica in una qualche casa (che chissà perché continuavo a immaginarmi sospesa tra i rami di qualche albero secolare) nel bel mezzo della Yosemite Valley.

Non ho avuto il tempo (per fortuna) di elaborare anticipatamente la fortuna e l’onore che mi stavano capitando, perché il lavoro mi ha concesso ben pochi istanti prima di poter salire in automobile, arrivare a Linate, piazzarmi all’uscita passeggeri in arrivo e cercare di identificare Dean tra tutti. Come al solito avevo già iniziato a farmi le solite paranoie del caso (“ma lo riconoscerò? Ma Fabio lo ha avvisato che lo vado a prendere io? Ecc. ecc.”) quando vedo una persona che può essere solo lui, un ragazzone tipicamente americano, con una chiara fisicità “da bestia umana” e una faccia da eterno Peter Pan statunitense, occhi quasi da bambino che lasciano trapelare una evidentissima timidezza.

Aprile 2011, Lecco: Andrea Gaddi, Dean Potter, Luca Calvi, Fabio Palma

“Ciao Dean, sono il tuo traduttore, vieni che andiamo da Fabio….”. “Oh buongiorno signore, piacere…”. “Dean, dammi del tu…”. “Grazie, signore…”. Scrollo il capo e mi metto a ridere. Queste prime parole sono il sunto di uno scambio di battute tra un anziano di statura decisamente non elevata che guarda verso l’alto e un ragazzone di più di uno e novanta che guarda verso il basso, rosso in volto per la timidezza e chiaramente tendente all’impacciato. Mi rendo conto subito che ho a che fare con un ragazzone americano che fa cose fantascientifiche tra scalate, equilibrio sulla slack line e voli in base jump, ma che resta null’altro che un giovanotto un po’ guascone e incredibilmente timido nei rapporti umani.

A far “sciogliere l’atmosfera” provvede l’inserimento nell’automobile, la mia piccola e formidabile utilitaria che tanto comoda è per i parcheggi in città, ma che così mal si presta ad accogliere la montagna umana che viene dalla Yosemite: un paio di battute ed alcune parolacce sapientemente infilate ad arte nello scambio di insulti per riuscire a stare noi due e il suo bagaglio, poi, tempo di partire dall’aeroporto, il giovanotto inizia a lasciarsi andare e a raccontarmi della sua recentissima esperienza in Slovenia, dove Silvo Karo gli ha organizzato l’incontro. Tra le prime frasi a colpirmi è stata un “aiutami a scusarmi con la gente, mi vergogno a non sapere nulla della vostra lingua”. Situazione da me risolta con un semplicissimo e venetissimo “giovane, ma almeno ti piace il vino?”. La risposta è stata un sorriso a sessantaquattro denti: “Ma certo, eccome!”.

Dean Potter nel film Moonwalk

“Bene, allora il ragazzotto, anche se yankee, ha già capito molto della vita!” è il mio pensiero mentre sto per arrivare a Sirtori. Qui, dopo essere passati a lasciare il suo preziosissimo bagaglio in albergo, andiamo al ristorante, dove incontriamo ad attenderlo Fabio (Palma) e Andrea (Gaddi). L’accoglienza è allegra e festosa e lo stesso Dean, complice anche l’apertura di un paio di bottiglie “di quello buono”, inizia a lasciarsi andare e a ridere allegramente mentre racconta, con estrema naturalezza, delle sue avventure verticali, sopra il vuoto o mentre si lancia nello stesso. A colpirmi è anche il fatto che Dean è assolutamente onnivoro, ama gustare e provare di tutto, non ha preclusioni alimentari e mostra una innata e spiccata propensione per i gusti naturali e pieni. Il suo amore per il vino rosso, da ultimo, è stata la molla che ha permesso a tutti e quattro i commensali di entrare rapidamente in sintonia con quello che comunque per noi restava una figura quasi mitica, circondata da un alone di inavvicinabilità per il suo carattere schivo e poco propenso ai riflettori.

Salutati Fabio e Andrea, con i quali si accorda per un “giretto” ai Resinelli al mattino seguente, prima di accomiatarci per la notte scambiamo ancora qualche idea sulla serata che dovrà tenere il giorno successivo a Sirtori ospite di Sergio Longoni e lì mi arriva una frase che mi è poi rimasta impressa, cesellata nella memoria: “Luca, aiutami ad essere capito, aiutami ad ordinare i pensieri, magari racconto stronzate poco interessanti…”. Cerco di dargli uno scappellotto sulla nuca, arrivo a malapena alla spalla, ma capisce comunque e si mette a ridere. “Bye bro, see ya tomorrow, have a good night”. Da quel momento in poi mi chiamerà sempre “Bro”, abbreviazione di “fratello”, ma in un modo che suona un po’ come quando i giovani ti apostrofano con un “bella zio”.

Il giorno successivo è già parte della storia del lecchese, raccontato da penne ben più autorevoli della mia. Al mattino un salto ai Resinelli e da lì Fabio, Andrea e il Butch Marco Anghileri accompagnano il lancio di Dean dal Forcellino… Ricevo una telefonata concitata da Fabio: “Cazzo, Luca… si è buttato, che roba!!! Abbiamo ripreso il lancio…”. Più o meno lo stesso tono e le stesse frasi sento poi da parte di Andrea e di Marco, il Butch, che poi mi dice, piano “ma quello è davvero matto, è unico”. Da buon veneto, gli rispondo semplicemente “se no i xe mati no li volemo”. Poi aggiungo “come ti, Marco!”.

Nel tardo pomeriggio ci ritroviamo tutti a Sirtori dove Dean come prima cosa dà spettacolo sulla slack line piazzata nell’area antistante l’ingresso al negozio di Sport Specialist, dove il patron Sergio Longoni ospiterà la serata. Una folla inaspettata è rimasta incollata a osservare le evoluzioni sulla slack line, per poi festeggiare Dean con un calore che lo ha lasciato stupito, ma malcelatamente soddisfatto: con un ghigno quasi satanico, tradendo la sua guasconeria di giovane scavezzacollo della Yosemite, mi si è avvicinato dicendo “in fin dei conti ho solo fatto quello che per me è pane quotidiano, ma con sotto tanta più aria…”.

Aprile 2011, Lecco: Marco Anghileri, Dean Potter, Luca Calvi

La serata, poi, lo ha visto presentare con una naturalezza disarmante, davanti a un negozio pieno come un uovo, la sua vita di uomo dell’aria e del verticale: dalle salite in free-solo alla slackline per poi passare al base jump… Una serata raccontata a dovere dai media e ben impressa nella mente dei molti presenti.

Pochi, invece, si sono accorti che a ogni filmatino o spezzone lanciato, Dean mi si avvicinava, chiedendo se, secondo me, poteva essere d’interesse quello che stava per mostrare. All’inizio pensavo mi prendesse per i fondelli, ma ben presto mi sono reso conto che stava facendo sul serio. Man mano che si rendeva conto, però, delle reazioni di un pubblico estasiato che l’avrebbe ascoltato anche tutta la notte, dai suoi occhi si potevano veder uscire gioia e stupore, quasi non se l’aspettasse.

Tra i ricordi della serata ce n’è uno, però, che mi è più caro di altri, per quella lancinante profeticità: in primissima fila, con il figlio piccolo tra le ginocchia mentre il maggiore era col nonno Aldo, era seduto Marco Anghileri, che con occhi altrettanto spalancati e desiderosi di vedere e conoscere ha passato la serata seduto a terra con Carletto sulle ginocchia. I due grandi mi hanno regalato un siparietto del quale vado fiero e orgoglioso e che vorrei condividere.

Come ho già raccontato, Dean non amava parlare troppo, tendeva a vergognarsi del suo vocione (“ho la voce di un uomo delle caverne”) e riteneva di non essere un buon oratore. Nulla di più falso, ma il ragazzo non era di quelli facili da convincere del contrario. Mi sono trovato così in più occasioni a dover “integrare” il racconto, scusandomi con lui e col pubblico per la libertà che mi prendevo, proprio per permettere all’auditorio di godere fino in fondo dei racconti di Dean. Uno, in particolare, ha impressionato il pubblico: l’incidente che aveva avuto durante una sessione di fotografie e riprese sulla slackline, durante la quale è caduto e si è salvato solo perché, con estrema lucidità, è riuscito ad afferrare con una mano la corda alla quale era appeso un operatore, evitando così di schiantarsi a terra, ma procurandosi alla mano una abrasione che è arrivata fino alle ossa… Dean si vergognava di raccontare la scena, limitandosi a dire “l’incidente durante le riprese”, così lo ho interrotto ed ho raccontato per filo e per segno quanto avvenuto, così come me l’aveva raccontato a quattr’occhi. In prima fila, nel silenzio generale di un pubblico attentissimo a non perdere nemmeno un respiro dell’ospite, si è sentita la voce di Marco che non è riuscito a trattenere un “Aaaaahhhh che male…”. Immediato tra i due uno sguardo d’intesa, come se i due Grandi si fossero capiti al volo.

Quell’incontro tra Grandi è continuato poi, dopo un bagno di folla, autografi e foto, al ristorante, dove un nutrito gruppo di personalità dell’alpinismo lecchese (quindi internazionale) è andato a festeggiare a dovere il mito della Yosemite. Dean continuava a essere più rosso che mai, ma sorridente e compiaciuto. Ogni tanto mi diceva a bassa voce “ma quanta gente e quanti complimenti”, frase alla quale rispondevo con un “E piantala che ti fa piacere, sai benissimo chi sei e cosa fai”. Il suo sguardo, a metà tra l’occhiolino di complicità e il sorriso di un adolescente ormai quarantenne resta di quelli impossibili da descrivere.

Impossibile ricordare qui tutti gli aneddoti di quella sera, anche se un posto d’eccezione dev’essere lasciato al siparietto dell’incommensurabile Tino Albani che si è avvicinato chiedendomi di convincerlo a firmare il libro dell’ex moglie (Steph Davis, NdR): “Sai, vorrei avere la firma di tutti e due perché per me è come se fossero ancora assieme”. Garantisco di essermi sentito poche volte così in imbarazzo, situazione peraltro mediata dallo stesso Dean che, preso il libro e firmatolo, mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto “Cazzo, Bro, dovevo essere io a sentirmi a disagio…”, per poi darmi una sonora pacca sulla schiena ed esplodere in una risata omerica che ancora ricordo distintamente.

L’intesa tra il traduttore panciuto e quartogradista e il grande atleta degli sport estremi non poteva non avere un seguito. Prima di salutarci mi si è avvicinato, mi ha dato un biglietto con il suo numero di telefono, la sua mail, aggiungendo: “Devi provare e riprovare, sono un selvaggio, a volte rispondo dopo una settimana”. Cosa verissima, ma, per quanto selvaggiamente lento nel rispondere, Dean ha iniziato a rispondermi, facendomi dono di alcune righe e di alcune riflessioni che prima conservavo gelosamente in attesa di una reunion che si sarebbe dovuta concretizzare proprio nel 2016 e che ora fanno parte di una grandiosa ma amara memoria.

Whisper, Dean Potter e Jennifer Rapp

“Hey Bro, ma che bello che tu mi scriva, mi fa davvero piacere che tu insista… Sì, con Andrea abbiamo parlato della possibilità di scrivere un libro, ma sai com’è, ho ancora tante cose da fare, è troppo presto per stare seduto così a lungo, ho bisogno di aria, di muovermi”.

Solo poco tempo dopo, però, ad alcune mie sollecitazioni rispondeva così: “Sai che forse hai ragione? Forse non sarebbe male risistemare i miei pensieri, dare come scrivi tu un po’ di logicità alle mie piccole storie. Ti mando alcune cose che sono comparse qua e là qui da me, negli Stati Uniti, inizia a lavorarci, rielaborali, poi ne parliamo…!”.

Una delle espressioni che maggiormente lo infastidiva era sentirsi accusare di essere un adrenaline-addicted, adrenalina-dipendente. “No, Luca, per favore, aiutami a spiegare che la mia non è ricerca dell’adrenalina, è esattamente il contrario. Fin da piccolo mia madre mi ha insegnato l’arte dello yoga, il sapermi concentrare e controllare. L’adrenalina è l’esatto contrario di quello che cerco io. Io spingo le difficoltà al massimo, aumentando la posta in gioco quando, per esempio, salgo una via in free-solo oppure cammino sulla slack senza cordino di sicurezza perché così mi concentro al massimo, mi avvicino maggiormente a quello stato di benessere con me stesso e col mondo che è l’esatto contrario delle sensazioni di chi va a drogarsi di adrenalina. Per loro l’adrenalina arriva dal gioco quasi inconscio con il rischio semisconosciuto, una sorta di roulette russa. Per me no, non c’è nulla di non calcolato, è un percorso che mi porta a salire, ad elevarmi, a camminare con vuoto tra le gambe ed infine a poter volare… So che mi capisci, scrivilo tu…”.

Di questo, delle sue salite memorabili in Yosemite e in giro per il mondo, come anche delle sue avventure con la slackline o dei suoi lanci dalle pareti più impensabili del mondo, Dean avrebbe voluto continuare a parlare per concludere un progetto che è rimasto in nuce, poco più di un abbozzo. La scorsa primavera mi aveva scritto della sua ritrovata gioia di vivere totale. Mi raccontava di come si divertisse un mondo a giocare a guardie e ladri con i rangers in Yosemite: “Vogliono impedirci di lanciarci… E noi saliamo verso sera, ci buttiamo così godiamo le luci del tramonto e, ora che gli sbirri capiscano dove siamo atterrati, abbiamo già raccolto baracca e burattini e siamo a berci una birra in santa pace…”.

“Luca, ti ho mandato le foto di me e Whysper (il cagnolino volante) mentre ci lanciamo… E’ favoloso!! Si diverte più Whysper di quanto mi diverta io!!!”. Le foto e i video di Dean che si lancia col cagnolino hanno fatto il giro della Rete e mi sono trovato a prenderlo in giro in più occasioni, dicendogli “Sei vecchio, hai bisogno di farti accompagnare dal cane, non ce la fai più”. Frase alla quale mi ha risposto con un meraviglioso “E’ vero, Bro, ma che bella la vita!!! Sono pieno di amore, con Whysper, ma soprattutto con la mia nuova compagna! Davvero tanto amore e tanti progetti! Hai visto che ho messo in linea anche il sito nuovo??? Vai a vederlo, fammi sapere! Adesso ho ancora qualche progetto da sistemare, passata l’estate ne parliamo. Adesso però mi rinchiudo, sai, sono sempre più isolato dal resto del mondo, perché credo che sia l’unico modo per essere totalmente un vero free-soloist, devo diventare tutt’uno con l’essere me stesso dentro la natura ! E’ così, facendo free-solo, che arrivo ad essere del tutto me stesso e a conoscere la bellezza…”.

Parole che non possono ora non girarmi nella mente: così come nel 2014 è stata una telefonata dell’editore Andrea Gaddi a darmi la notizia della scomparsa del Butch Marco Anghileri, che ha deciso di continuare la scalata verso la leggenda “nel posto più bello del mondo”, l’anno successivo una sua telefonata mi porta a conoscenza del fatto che Dean, l’uomo dell’aria, si è definitivamente fuso con la leggenda e con la Bellezza, la cui conoscenza perseguiva da anni nelle mille facce della sua amata Yosemite, mettendo la parola fine prima della nascita al progetto di un libro che resterà solo nell’immaginazione di chi ha avuto la fortuna e l’onore di conoscere da vicino e di saper ascoltare la leggenda di Dean Potter.

Così come, per la scomparsa di Marco, Leo Houlding mi aveva scritto “Luca, che notizia mi dai! Era un ragazzo così pieno di vita, un inno alla gioia”, per Dean, mentre la stampa ha iniziato la solita ridda di “coccodrilli” e di speculazioni post-mortem, le parole più giuste sono state scritte da Alex Honnold, per il quale Dean era “IL MITO”: “Dean ha avuto l’onore di vivere la sua vita al massimo, al top per più di quarant’anni facendo ciò che maggiormente lo appagava e lo faceva sentire vivo”.  In privato lo stesso Honnold mi ha, però, aggiunto una frase che non posso non citare e so che Alex non me ne vorrà per questo:

“Luca, sì, è stata una vera tragedia… Lo so che ci può stare per quello che facciamo, ma ormai pensavo che Dean sarebbe diventato vecchio, era una persona che stava così attenta a tutto, badava molto a se stesso, faceva attenzione a tutto, davvero una tragedia inaspettata”.

Una tragedia inaspettata, certo, che mette la parola fine a un libro appena cominciato, ma che lascia la comunque grandissima eredità di aver potuto conoscere ed entrare in amicizia con un grande che continuo a immaginare lassù, da qualche parte, assieme al Butch, a parlare di montagne, di scalate e della bellezza di cui solo i veri Grandi della montagna sanno andare alla ricerca. “So long, Bro!”.

Nota
Per maggiori dettagli su Dean Potter, vedi https://gognablog.sherpa-gate.com/alex-honnold-riflessioni-dopo-la-morte-di-dean-potter/.

1
La parentesi italiana di Dean Potter ultima modifica: 2017-07-11T05:58:50+02:00 da GognaBlog

9 pensieri su “La parentesi italiana di Dean Potter”

  1. 9
    Mattia Beltrame says:

    Che super articolo. Pelle d’oca in più di qualche occasione. Complimenti sincerissimi!

  2. 8
  3. 7
    Alessandro Gogna says:

    Caro Andrea, la prima foto dell’articolo è scattata su Easy rider (e non Freerider).

  4. 6
    Andrea says:

    Perdonate l’ignoranza ma se Dean è nella prima foto ropeless su freerider quale è la differenza rispetto alla recente ascesa di Alex

  5. 5
    Valerio Rimondi says:

    Credo che a quei livelli lo sappiano, forse non sempre ma quasi.

  6. 4
    Marco Lanzavecchia says:

    Oh Luca… tutti si crepa e conta di più come si vive che quanto si vive.
    Ma uomini come quelli che tu citi hanno, come si suol dire, il minimo un po’ alto. Modo prosaico per dire che la loro fiamma brucia alta.
    La loro morte spessissimo prematura non è statisticamente inattesa.
    Spesso ne sono consapevoli e quindi va bene così.
    Se non lo sono, a mio modestissimo avviso, va un po’ meno bene.
    Io credo che Dean sapesse, come lo sa Honnold, di correre sul filo del rasoio.

  7. 3
    Alberto Benassi says:

    bello!!

  8. 2
    Giandomenico Foresti says:

    Concordo.

  9. 1
    Fabio Bertoncelli says:

    Questo brano è riuscito a descrivere l’essenza di una persona meglio di quanto facciano ponderose biografie. Bravo!

La lunghezza massima per i commenti è di 1500 caratteri.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.