Latok I, the (un)finished business – parte 2

Latok I, the (un)finished business – parte 2 (2-2)

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Rock and Ice intervista Tom Livingstone sul Latok I
di Michael Levy
(Intervista pubblicata su RockandIce il 22 agosto 2018). Un grazie particolare a Michael Levy, Associate Editor di Rock and Ice.
Traduzione di Federico Bernardi (MontagnaMagica, 23 agosto 2018)

Tom Livingstone, assieme agli alpinisti sloveni Aleš Česen e Luka Stražar, ha effettuato la seconda ascensione confermata del Latok I, e la prima salita in assoluto confermata dal nord. C’è la possibilità che la cordata russa di Alexander Gukov e Sergey Glazunov abbia raggiunto la vetta attraverso la cresta nord, anche se Gukov crede di aver completato la cresta nord ma ritiene di non aver raggiunto la vera cima. La squadra anglo-slovena ha scalato tre quarti della famigerata cresta, prima di traversare verso il colle tra Latok I e II e finire la loro nuova via verso la cima sulla parete sud.
Rock and Ice ha raggiunto Livingstone tramite WhatsApp ed e-mail, e il giovane britannico ha espresso alcune suggestive intuizioni sul Latok I, la loro scalata e la sfortunata spedizione di Alexander Gukov e Sergey Glazunov.

Congratulazioni per la scalata! Puoi raccontarci dei piani che avevate, rispetto alla spedizione [sul Latok, ndT]?
Entriamo sempre in questi progetti con una mente aperta, ma certamente l’obiettivo principale era scalare il Latok I dal lato nord, dal ghiacciaio Choktoi. Il secondo obiettivo era scalarlo nel migliore stile percorrendo tutta, o una parte della cresta nord. Volevamo fare un’ascensione pulita in stile alpino, in sette giorni o meno.

Tom Livingstone (al centro) con Luka Strazar e Aleš Cesen (a destra) al ritorno al Campo Base. Archivio: Tom Livingstone

Eravate già al Campo Base quando è avvenuto il salvataggio di Gukov?
Sì, eravamo al Base quando è successo. Quando siamo arrivati, il 13 luglio 2018, una squadra russa di due aveva cominciato l’attacco alla parete la notte prima. Un’altra squadra russa, composta da tre alpinisti, ha cominciato la notte dopo. Sebbene abbiamo cercato di ignorare i russi e di non essere messi sotto pressione dalle altre squadre sul nostro obiettivo, era impossibile non provare un po’ di rivalità amichevole. Quando il team in duo ha vissuto la sua tragica epopea (Sergey è morto, e Alexander è rimasto bloccato in parete), abbiamo offerto tutta la nostra assistenza per aiutare loro e l’appoggio ai tre russi che erano a campo base.


La morte di Sergey e il successivo salvataggio di Alexander hanno rafforzato in noi l’evidenza dei pericoli di spingersi troppo lontano su un percorso del genere. La cresta nord superiore è complessa, ad alta quota, e inevitabilmente hai scalato moltissimo e per molti giorni, per arrivarci.
Il processo decisionale non è facile, specialmente con la parte finale e sommitale. Il tempo peggiora inevitabilmente, dopo tanto tempo trascorso a quell’altitudine: le finestre di opportunità sono generalmente piccole nel Karakorum. Sono comunque sicuro che l’intera cresta nord può essere ancora scalata.

Voglio fare le mie condoglianze alla famiglia di Sergey, e augurare ad Alexander una rapida guarigione.
Tuttavia sono molto critico nei confronti delle azioni e delle parole di Alexander.
Anche se ho cercato di star zitto, sento che è importante per me parlarne.

Alexander ha avuto un’avventura epica sulla cresta nord già l’anno scorso. Ha trascorso 15 giorni sulla montagna, e i suoi due partner hanno sofferto pesantemente. Uno ha perso un paio di dita dei piedi, l’altro tutte le dita dei suoi piedi e alcune parti delle dita della mano. Il commento finale di Alexander, in un rapporto, recitava: “Sono fiducioso di avere una buona possibilità la prossima volta”. Questo ci ha fatto arrabbiare (a me e ai miei amici sloveni). Sembrava non curarsi dell’ordalia e del pericolo che aveva appena attraversato. Uno dei suoi amici [russi, ndT] al Campo Base, quest’anno, ci ha detto: “Non è capace di capire quando ritirarsi”. Ha anche rafforzato le voci sullo “stile russo”, cioè il successo a tutti i costi, qualunque sia il prezzo.

Aleš Česen cerca la via nel complesso terreno della seconda giornata. Foto: Tom Livingstone.

Quando Alexander e Sergey stavano scalando quest’anno e si trovavano in alto sulla montagna, hanno ripetutamente affermato che stavano facendo ambiziosi e irrealistici “tentativi di vetta”. Erano molto al di sotto della vetta (circa 6800 m), e nonostante i tentativi nei giorni precedenti, hanno di nuovo e ancora (per forse tre giorni di fila) spinto per la cima. Li abbiamo osservati attraverso il binocolo al campo base, ed eravamo nervosi per il loro atteggiamento, così rischioso.

Il loro ritmo rispetto ai nove giorni precedenti era incredibilmente lento. Era improbabile che il loro ritmo fosse migliorato sensibilmente durante i tentativi alla vetta, e stavano scalando distanze molto ridotte, ogni giorno di più. E’ arrivato maltempo, in alta quota, ed erano molto stanchi, dopo molti giorni, senza molto cibo.
La loro perseveranza è stata impressionante, ma crediamo che avrebbero dovuto ritirarsi qualche giorno prima.
Infatti, quando è comparso il maltempo, hanno comunque fatto un tentativo alla vetta.
Abbiamo scosso la testa e abbiamo pensato che si stessero spingendo troppo lontano, a un’altitudine troppo alta, per troppo tempo.
Pensavamo che avrebbero avuto una discesa da tregenda.
Persino i loro amici russi al Campo base erano preoccupati e fecero organizzare il volo di un elicottero per controllare le loro condizioni e tentare di lanciare rifornimenti.

Poco dopo, Sergey è caduto ed è morto.

Sei giorni dopo, Alexander soccorso in elicottero. Penso che questo fosse il suo diciottesimo giorno sul muro. Quando è stato portato sul ghiacciaio, Aleš ha detto: “Non ho mai visto nessuno così vicino alla morte, ma ancora vivo”.

Sono orgoglioso della nostra ascesa al Latok I. Aleš, Luka e io siamo saliti in pieno controllo mentale. Abbiamo preso decisioni strategiche e sensate. Eravamo indipendenti. Abbiamo scelto la linea più semplice. Siamo tornati sani e salvi dopo sette giorni. Non abbiamo perso le dita delle mani o dei piedi. L’alpinismo è un gioco pericoloso. Se non torni a casa in sicurezza, perdi. Se le dita dei piedi vengono amputate a causa del congelamento, perdi. Certo, era impossibile non essere toccati dal dramma russo.
Ma quando abbiamo discusso delle nostre motivazioni una volta conclusa l’intera epopea, abbiamo deciso di continuare con il nostro piano: scalare il Latok I lungo la nostra linea, che era quella che avevamo sempre immaginato.

Puoi parlarci un po‘ della scalata della tua cordata?
L’itinerario stesso aveva difficoltà arrampicatorie abbastanza moderate. E’ stato divertente e siamo rimasti molto contenti di quanto velocemente siamo passati attraverso tutto. Eravamo in simul-climbing e procedevamo velocemente.
C’erano naturalmente le solite parti di ripido ghiaccio marcio e non tante protezioni, ma c’è da aspettarselo su una via alpina. Altrimenti, generalmente, siamo passati su difficoltà moderate.
Dal ​​campo base alla cima e ritorno in sette giorni. Cinque su, due giù. Abbiamo ripetuto il percorso di salita, scendendo.

Aleš Česen in procinto di affrontare qualcosa di più impegnativo. Foto: Tom Livingstone.

La discesa è stata semplice o c’è stato qualche intoppo?
Da sempre la discesa a corde doppie è la parte dell’arrampicata che mi piace meno. Quindi siamo stati abbastanza strategici durante la salita. Sono piuttosto contento di come siamo saliti al momento giusto e riposati quando non c’erano condizioni sicure.
Quindi, ad esempio, dai tre quarti siamo scesi durante la notte fino alla base, perché le condizioni erano più sicure, tutto era congelato. Lo abbiamo fatto perché era più sicuro.

Josh Wharton e Thomas Huber hanno commentato in passato che le condizioni sul Latok I erano ben diverse da quelle incontrate dalla spedizione americana del 1978. Quali sono state le condizioni per voi ragazzi?
È una bella domanda. Questa è stata la mia prima volta, ho idea che le condizioni fossero effettivamente buone, più di quanto si pensasse, in generale. Visto un percorso così lungo, inevitabilmente incontrerai condizioni sfavorevoli. Ma noi abbiamo trovato buone condizioni per la maggior parte della scalata. Ovviamente è una parete nord, ma riceve parecchio sole e spesso vi si scaricano micro temporali.

Se le condizioni siano cambiate da 40 anni fa ad oggi, non lo so… ma me l’aspetto. Josh Wharton e Thomas Huber ci sono stati diverse volte e se dicono che le condizioni sono cambiate, immagino abbiano ragione. Non sarei sorpreso se il riscaldamento globale avesse avuto un effetto sulla via. Il ghiaccio era ghiacciato, la roccia era asciutta e rocciosa.
Penso che anche i russi abbiano avuto buone condizioni. Forse siamo stati fortunati e questo è stato un buon anno, non saprei…

Com’è nata la tua collaborazione con Aleš e Luka?
Ho incontrato Luka a un incontro internazionale BMC di scalata invernale in Scozia alcuni anni fa. Anche se non abbiamo arrampicato insieme, siamo andati d’accordo subito e ci siamo incontrati parecchie volte negli anni seguenti.
Luka mi ha invitato in Pakistan, sono andato a scalare in Slovenia lo scorso inverno e in primavera con lui e Aleš. Ci è sembrato subito che andassimo bene, c’era poco da dire e ci siamo goduti la compagnia reciproca.
Non vedo l’ora di salire di nuovo con loro. Sono scalatori forti, esperti e sensibili, e ora buoni amici.

Il Latok I è la scalata di cui sei più orgoglioso?
Lo è certamente.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Vado in India tra tre settimane – con Uisdean Hawthorne e Will Sim – e sono davvero contento dell’idea. Un po’ presto perché in effetti sono appena tornato dal Pakistan, ma ne sono consapevole. Abbiamo un permesso per una montagna chiamata Barnaj II, che si trova nel Kishtwar. È stato scalato da alcuni americani negli ultimi due anni, ma la parete nord è inviolata.

Aleš Česen e Luka Stražar a pochi metri dalla cima del Latok I. Foto: Photo: Tom Livingstone.

Evgenij Glazunov risponde a Livingstone
di Alessandro Filippini
(pubblicato il 26 agosto 2018 su alpinistiemontagne)

Ancora sul Latok I, ecco la risentita, ma controllata nei termini, risposta di Evgenij Glazunov a quanto dichiarato nell’intervista a Rock and Ice da Tom Livingstone. Il quale, come noto, ha salito la montagna pakistana con gli sloveni Aleš Cesen e Luka Strazar partendo dal versante nord, ma traversando da quota 6500 verso il Colle fra Latok I e II e arrivando poi da lì in vetta lungo il versante sud.

Il fratello di Evgenij, Sergej, poi morto in discesa due giorni dopo, il 23 luglio ha invece completato con Alexander Gukov la salita del Pilastro Nord vanamente tentato da una trentina di spedizioni nell’arco di 40 anni a partire dal tentativo del 1978 portato dagli statunitensi Jim Donini, Michael Kennedy, George e Jeff Lowe (quest’ultimo, Piolet d’Or alla Carriera, è deceduto due giorni fa). Gukov ha dichiarato che il 23 Glazunov gli ha detto di essere arrivato in vetta, ma lui è sicuro solamente di avere raggiunto la fine del Pilastro Nord e quindi la cresta sommitale del Latok I.

Nella sua intervista il britannico Livingstone era stato molto pesante soprattutto nei confronti di Gukov, accusato di non saper rinunciare e di aver perciò portato ad amputazioni di dita di mani e piedi i suoi compagni nel tentativo di un anno fa. E di essere stato troppo lento quest’anno e di aver voluto comunque fare il tentativo di vetta dal quale Glazunov poi non è tornato (ma la sua morte è avvenuta per caduta in discesa due giorni dopo…) Ecco il testo della risposta di Evgenij Glazunov a Tom Livingstone.

«La mia risposta a Tom Livingstone sulla sua intervista sullo “Stile Russo”.
https://rockandice. com/climbing-news/interview-tom-livingstone-on-latok-i/
Mi rivolgo direttamente a Tom, visto che è stato solo lui che ha espresso il parere. Probabilmente il resto della squadra ha un punto di vista diverso.

Prima di tutto, devo dire che mi fido di tutti gli alpinisti che dicono che hanno completato la via e hanno raggiunto la vetta indipendentemente che lo possano dimostrare o no, perché l’onestà è predominante nel nostro sport. Questo è quello che voglio dire.

Io non conosco né te, Tom, né i tuoi amici della Slovenia. Non ti ho mai conosciuto ma lo vorrei. Non voglio scambiare insulti con te. Nessuno di voi ha fatto realmente qualcosa di male a me, né lo abbiamo fatto noi. Ma…!

La via di salita di Sergej Glazunov e Alexander Gukov: i due russi hanno completato la scalata del Pilastro Nord

Cerchi di giudicare lo ‘stile russo’ non sapendo nulla della situazione, delle circostanze e dei ragazzi. Non sai niente di Sergej, i fallimenti che ha vissuto in montagna, il suo stile e il suo atteggiamento verso l’alpinismo. Poiché ero solito essere il suo compagno di cordata e il suo allenatore potrei dirti che il tuo piccolo sogno di scalate l’abbiamo fatto insieme, soprattutto d’inverno. Non hai diritto a tali considerazioni, tipo: il loro ritmo era ‘incredibilmente lento’. La tua via è stata molto più facile di quella fatta da Gukov e Glazunov. Tu e la tua squadra avete evitato tutti i luoghi impegnativi e siete saliti in vetta dal sud – chiamiamo le cose con il loro nome. Allo stesso tempo, accetti complimenti per la prima salita confermata del Latok I dal nord.

Pensi davvero che Sergej e Alexander non potevano completare la vostra linea nello stesso tempo? O pensate davvero che nessuno di quei numerosi alpinisti che hanno provato la salita del Latok I dal versante nord sia stato così intelligente come voi da attraversare fino a quello sud? Il loro obiettivo era diverso; non scalare il Latok I a ogni costo, bensì scalare la Cresta Nord. Inoltre, vorrei notare che Jeff Lowe e i suoi compagni hanno trascorso 26 giorni lì e non hanno raggiunto la quota alla quale Sergej e Alexander sono stati capaci di raggiungere.

Anche la tua foto dalla vetta è dubbia e non molto diversa dalla foto di Sergej (basta che le confronti). Posso trovare un milione di foto simili da diverse vette”.

Caro Tom, certo che riceverai il Piolet d’Or, ma per favore non dare mai giudizi sulle cose di cui non hai idea, particolarmente sul precedente tentativo di Gukov, e che la Cresta Nord può essere scalata interamente. Anche se hai ragione, mio fratello e Alexander l’hanno scalata almeno fino alla cresta sommitale alla quale da nord nessuno era mai giunto prima. Ma non puoi immaginare fino a che punto sei lontano da tutto ciò, amico mio.

PS. Se mai desideri diventare un esperto nello ‘stile russo’ sei sempre il benvenuto in uno dei nostri campi di montagna invernali nelle montagne Sayan, in Siberia, dove io e mio fratello abbiamo fatto la nostra prima salita in montagna».

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Latok I, the (un)finished business – parte 2 ultima modifica: 2018-10-18T05:46:31+02:00 da GognaBlog

4 pensieri su “Latok I, the (un)finished business – parte 2”

  1. 4
    Alberto Benassi says:

    Perché nessuna delle due salite è completa e quindi lascia spazio alle chiacchiere.

    non credo sia  solo questa la ragione. Per me è sopratutto un fatto di mancanza di rispetto, sopratutto nei confronti di una persona che ci ha lascato la pelle.

    E’ voler dire io sono meglio di te che invece sei un matto irresponsabile.

    Ognuno ha fatto le sue scelte. Chi ha scelto la linea pià facile per assicurasi la vetta con un certo margine di sicurezza.

    Chi invece ha cercato di risolvere il probema dello sperone affrontandolo il più direttamente possibile. Mentre raggiungere la  vetta era sicuramente in secondo piano. Certo che avrebbero voluto arrivare in vetta. Ma era lo sperone il loro obbiettivo primario.

    Questi sono stati dei matti irresponsabili?

    Può darsi…Ma che cosa c’è di responsabile in alpinismo??  NULLA!!

     

  2. 3
    paolo panzeri says:

    Perché nessuna delle due salite è completa e quindi lascia spazio alle chiacchiere.

  3. 2
    Alberto Benassi says:

    queste due salite sono delle grandi imprese alpinistiche. Una purtroppo ha richiesto un gran prezzo  e poteva anche andare peggio.

    Perchè andarle sporcare con delle polemiche ?

  4. 1
    Alberto Benassi says:

    Dopo tutto quello che è accaduto: successo e morte. E’ un vero peccato che ci siano queste polemiche.

    Qualcuno direbbe è solo ANALIZZARE L’ACCADUTO. Per me restano polemiche che si dovrebbero evitare.

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