Una triste estate

1965. Abbiam perduto tanti compagni
di Salvatore Bragantini

Tornavo a casa dalla palestra del Morra la sera di Pentecoste quando la radio disse che era morto Donato Zeni, il medico della spedizione al Gasherbrum IV. Mentre la radio ancora ne parlava, pensavo ai progetti alpinistici estivi e a Zeni insieme, e ricordavo le vivacissime e interminabili discussioni con lui, le quali consistevano principalmente nel lasciarlo dire le sue ragioni. Era raro riuscire a formulare un ragionamento completo senza che lui, tutto preso dal suo, interrompesse; e ricordavo quanto piacere mi avevano fatto i suoi complimenti la volta che con mio fratello Renzo avevamo fatto la via Kiene alle Cinque Dita. La Guida dei Monti d’Italia del Tanesini, la riassumeva così: “Scarsissime possibilità di assicurazione, richiede una perfetta tecnica di roccia”. Non avevo chiuso occhio la notte, ma poi l’avevamo fatta.

Avevo 23 anni, da ragazzo certe cose si assorbono in fretta, e nei primi giorni d’agosto me ne stavo in valle a smaltire la stanchezza della lunghissima parete nord del Sassolungo; arrivò un amico e disse che Amedeo Bértoli s’era fatto male sul Gran Vernel. Non potevo far nulla, i soccorsi erano già avviati e si poteva solo aspettare. Poi vidi qualcuno piangere e capii che se n’era andato anche lui. Provavo quasi un rimorso per non averlo convinto a venire con Renzo e me sul Sassolungo: a quest’ora saremmo stati tutti seduti al bar a commentare e ricordare. Invece me ne stavo lì con la cartolina della Nord in mano, illusione di fermare nel tempo un passaggio che la montagna ignora: quando i temporali e il vento autunnale avranno spazzato creste e canaloni, la nostra felicità su una montagna, e la sua tragedia su un’altra, non avranno lasciato segno.

Salvatore Bragantini sulla Calliope a San Paolo (Arco), 2a lunghezza, 14 febbraio 2009
S. Bragantini su via Calliope a San Paolo (Arco), 2a lunghezza
Quasi per forza d’inerzia c’era riuscito di fare un paio di altre salite. Il morale era tornato buono ed ero quasi euforico ora, scendendo con Alessandro Gogna dal Piz Ciavazes. Era bello percorrere in fretta la ferrata delle Mesules, in gara col temporale che aveva già nascosto l’enorme mole del Sassolungo. Avevamo fatto una via difficile, ci sentivamo forti e felici, il maltempo incombente non ci faceva certo paura! Correvamo sui prati già fradici di pioggia mentre in val Gardena tuonava alla grande. Arrivati al passo eravamo già d’accordo, si andava a fare lo spigolo Demuth alla Ovest di Lavaredo: un giorno per trovare la tenda e saremmo partiti.

La pioggia scendeva abbondante mentre sul mio “Galletto” tornavamo a casa. Imbacuccati nel “poncho” notammo a malapena un gruppo di macchine ferme sotto il Piz Ciavazes. Mi domandavo cosa questo significasse, era molto strano, con quel tempaccio e intuii subito che era successo qualcosa. La felicità era svanita già. A Pozza ci dissero che Fabrizio Romanini aveva sbagliato percorso ed era volato; a cosa serviva ora analizzare la situazione ipotizzata e criticare l’errore presunto? Come poter giudicare, quando tante volte per andar più veloci s’era commessa la stessa imprudenza?

Conoscevo poco Fabrizio, ma andai ovviamente alla chiesetta dove l’avevano portato, a Canazei. Uscito, guardavo i boschi umidi di pioggia, da cui si alzava una nebbia leggera. Con lei svaporavano naturalmente i miei residui progetti alpinistici.

Ivo Rabanser, Salvatore Bragantini e Alessandro Gogna in vetta alla Quarta Torre del Sella, dopo la salita della parete nord, via Moroder-Malsiner, 2 agosto 2009
Quarta Torre del Sella, parete N, via Moroder-Malsiner, I. Rabanser, S. Bragantini e A. Gogna

Tornai presto a Roma quell’estate, fare altre salite in quella stagione mi sarebbe parso una mancanza di rispetto verso quei compagni. Da allora è passato qualche anno; le ferite si sono rimarginate e la montagna è tornata ad essere al centro di tanti miei pensieri, sogni e progetti; ma tutti i bei momenti che mi ha fatto e, spero, mi farà ancora vivere non potranno mai farmi dimenticare la profonda tristezza e la terribile lezione dell’estate del 1965.

Salvatore Bragantini
è nato a Imola nel 1943. Sposato con Lucia Covi, ha due figli. Vive e lavora a Milano. Ha sempre cercato di conciliare l’attività professionale con la passione per la montagna. Ha lavorato nella finanza per le imprese fino al 1996, quando è stato nominato dal governo Prodi commissario della Consob (impegno pubblico per il quale ha rinunciato, volentieri, all’80% della precedente, esagerata remunerazione). Tornato al settore privato nel 2001, oggi è membro del Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi di Milano (“Statale”) nonché di una società quotata in Borsa e della SEA, società di gestione degli aeroporti di Milano. Collabora al Corriere della Sera dal 1994.

Salvatore e Lucia, Convegno Trad in Valle dell’Orco, 23 settembre 2012
Salvatore e Lucia Bragantini, Ceresole Reale 22.09.2012  I Bragantini, Ceresole Reale settembre 2012

Da sempre è appassionato di montagna, nonostante un bivacco non programmato quando con il  padre si perse nel bosco a 5 anni; ha cominciato ad arrampicare seriamente nel 1963, prevalentemente in Dolomiti (Brenta, Catinaccio, Sassolungo, Sella, Marmolada, Civetta, Lavaredo). Continua ancora, dopo due lunghe interruzioni, la prima per ragioni di salute (toxoplasmosi), la seconda perché aveva più voglia di stare con i figli piccoli. Mentre il presente racconto rievoca un’estate terribile, del ritorno alle scalate parlerà un secondo, ben più allegro.

postato il 15 maggio 2014

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Una triste estate ultima modifica: 2014-05-15T07:19:07+02:00 da GognaBlog

8 pensieri su “Una triste estate”

  1. 8
    Giovanni Malatesta says:

    Sto ripercorrendo nei ricordi le estati di tanti anni fa trascorse a Soraga e, scorrendo il blog di Alessandro, che a Soraga era di casa, mi sono imbattuto nel tuo racconto e, leggendolo, mi è tornato quel groppo in gola e quella intensa emozione che mi è rimasta indelebilmente impressa nella memoria.  Conoscevo Alessandro per le sue frequentazioni della pensione Rosalpina e successivamente dell’Hotel Val di Fassa, dove i laureati cattolici romani organizzavano soggiorni quindicinali: lì ho conosciuto anche Paolo Cutolo e Pio Baldi, che vi trascorrevano le vacanze. Forse fu proprio Paolo che alla sera riferì della tragica scomparsa di Fabrizio Romanini, ricordo il racconto, pare che dal basso gli avessero gridato “guarda che sei fuori via” e che lui avesse risposto che si sentiva sicuro e che procedeva bene … Ricordo il funerale di Fabrizio e la commozione che ci prese tutti, anche quelli, che, come me, non lo conoscevano bene. Mi pare di ricordare che in chiesa cantarono “stellutis alpinis”, sta di fatto che associo questa canzone a quel tragico evento e ogni qual volta mi capita di sentirla mi salgono le lacrime agli occhi e mi si accappona la pelle. Ho sempre amato la montagna, ma all’epoca l’arrampicata era per me solo un sogno alimentato dai racconti di quelli che la praticavano: non so se sia stato per la tragica lezione che fu anche per me quell’evento tragico, ma di fatto mi sono accostato all’arrampicata solo in età matura, quando, sfumate le velleità giovanili, ho acquisito la coscienza dei miei limiti e al tempo stesso delle mie possibilità. Ti ringrazio moltissimo per il ricordo che hai contribuito a rinfrescarmi con il tuo racconto di quella tragica estate.

  2. 7
    magicofurly says:

    Caro anonimo, sì. La via di Bernard-Menozzi-Baroni, del 1967, è proprio intitolata a quel Donato Zeni, amico di Antonio Bernard

  3. 6
    Anonimo says:

    Ma per caso Donato Zeni è quello a cui è stata dedicata l’omonima via alla Pietra di Bismantova?

  4. 5

    Bravo Salvatore, una bellissima testimonianza. Cose che bisogna ricordare altrimenti vanno perdute. Complimenti.

  5. 4
    Massimo Bursi says:

    Bella testimonianza Salvatore, ma triste. Aspetto con piacere le prossime puntate specie sulla ripresa alpinistica con o dopo i figli e sulla convivenza fra professione, passione di scalare e… famiglia!

  6. 3
    Luca Visentini says:

    Quelli erano anche gli anni in cui una ferrovia da Far West ti avvicinava da Ora a Predazzo, potevi andare al cinema nella chiesetta di Meida la domenica pomeriggio o attraversare l’Avisio per mangiare la panna montata alla Malga Allòch.

  7. 2
    Salvatore Bragantini says:

    Grazie Luca, noi Bragantini siamo andati in vacanza a Pozza ininterrottamente dal ’48 per decenni: io dovetti fermarmi al ’69 quando, essendomi appena sposato, non potevo più permettermelo… Zeni lo si conosceva bene, e lui (come altri “maggiorenti” dell’arrampicata locale) aveva un occhio di riguardo per questi ragazzetti cittadini che “i siva a crepes”. Era per noi un santo protettore.

  8. 1
    Luca Visentini says:

    Grazie Salvatore, ricordo volentieri Donato Zeni. Quand’ero bambino, a Vigo di Fassa, certe sere d’estate lui, che oltre a scalare era il medico del posto, appendeva un lenzuolone al balcone di una casa in piazza e proiettava per tutti le sue diapositive di montagna. Ho cominciato così ad appassionarmi…

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